Ex Lebole | Il posto della memoria

Patrizio Bertelli (Prada) acquista l’ex stabilimento dove hanno lavorato migliaia di donne. La richiesta delle ex operaie: nel futuro dell’area rimanga un segno di una lunga storia. Arezzo non deve dimenticare

Il luogo di lavoro rimane nel cuore. Se è stato lo stesso per quarant’anni, lo spazio occupato è grande. Vi si affollano le amicizie, gli affetti, le poche gioie e le molte ansie. Tutto questo è stato lo stabilimento di via Ferraris ad Arezzo per cinquemila donne. Ci sono entrate ragazze entusiaste nei primi anni Settanta, ne sono uscite donne angosciate e arrabbiate tra la fine del vecchio secolo e l’inizio del nuovo. Prima pietra nel 1962 con Amintore Fanfani e le telecamere Rai. Chiusura nel 2002 quando nel silenzio assoluto
il custode riconsegna la chiave alla proprietà e l’ultima operaia, la segretaria del consiglio di fabbrica, Ivana Peluzzi, si toglie la spolverina celeste ed esce, con qualche lacrima, dalla fabbrica.

Da allora l’area di via Ferraris
è stata il rifugio degli invisibili, poveri e senza casa. Tra poco non lo sarà più perché nell’immaginario campanello al cancello d’ingresso c’è un nome nuovo: Patrizio Bertelli. Prada per il mondo, concittadino per gli aretini. Ha acquistato per otto milioni di euro l’area dal re della carta, Carrara. In programma ristrutturazione, sviluppo, progetti da definire. Ma intanto un gruppo di ex operaie della Lebole gli ha scritto una lettera: mantenga un segno del lavoro che qui hanno svolto molte donne. Quello che vuole. Non è un fatto privato. «Indipendentemente dalle nostre esperienze personali – si legge nella lettera – la Lebole ha rappresentato uno dei cardini dello sviluppo industriale di Arezzo e il luogo principale dell’avvio al lavoro di migliaia di ragazze. L’area di via Ferraris è quindi un luogo della memoria di Arezzo e, in particolare, delle sue donne». La richiesta
a Bertelli: «Nella futura area Lebole rimanga un segno di questa storia. Lasciamo a lei il compito di immaginare quale possa essere. Noi vorremmo soltanto che Arezzo non dimenticasse. La storia corre oggi veloce e le persone dimenticano rapidamente. La
nostra non è nostalgia ma l’idea di una comunità coesa che sa da dove viene, cosa hanno fatto le nonne e le bisnonne, i nonni e i bisnonni, quali sono stati i risultati positivi ma anche gli errori».

Una questione personale, ovviamente, c’è. Le leboline sono state le prime ragazze a entrare in un’industria. Provenivano non solo da Arezzo ma anche dal Casentino, dalla Valdichiana aretina e senese, dalla Valtiberina, compresa la zona umbra. Volevano evitare un destino segnato: sposarsi, entrare nella casa del marito, ubbidire alla suocera, abbinare il lavoro in casa a quello nella stalla e nei campi. Non avevano idea – la televisione non c’era nelle loro abitazioni – di cosa fosse una fabbrica. E la scoperta fu una brutta sorpresa: ritmi frenetici, malattie professionali, stress. E poi ben presto, troppo presto, liste di cassa integrazione, scioperi, manifestazioni. Quelle che avrebbero potuto essere nuove generazioni di contadine, diventano le “cattive ragazze”, arrabbiate, sindacalizzate, politicizzate. Il femminismo, poco teorizzato e molto praticato, è passato da qui. Ma da qui è passata anche la storia di Arezzo. Lo slancio per un intero settore produttivo, migliaia di posti di lavoro, nuove edificazioni per sostenere il passaggio delle giovani famiglie dalla
campagna alla città. Arezzo ha memoria corta: ai fratelli Lebole, ideatori dell’azienda,
ha dedicato solo una strada nella zona industriale. Un segno di questa storia non solo le ragazze della Lebole ma anche i fondatori e la città di Arezzo lo meritano proprio. Mister Prada ha già detto di sì. Non resta che aspettare.

(dal numero di LiberEtà Toscana di ottobre 2025)

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