L’INTERVISTA | Congresso, un rito che va cambiato

Il sindacato secondo Gramolati: «Stop ai raduni ogni cinque anni. Coinvolgiamo gli iscritti nelle scelte e attraiamo la generazione Erasmus»

(dal numero di marzo 2023 di LiberEtà Toscana)

Gramolati, la forza dello Spi toscano come intendete giocarvela?
«La lista delle sfide che i pensionati incontrano è molto lunga. Ai vecchi problemi si sono aggiunte nuove emergenze: la guerra, la pandemia. Vi è poi il problema dell’adeguatezza dei modelli di partecipazione. Non v’è dubbio che c’è anche una crisi della rappresentanza che non possiamo risolvere dicendo semplicemente che gli altri soggetti di rappresentanza sono messi peggio di noi». Incontro Alessio Gramolati dopo il dodicesimo congresso dello Spi Cgil della Toscana che si è tenuto a gennaio al teatro Goldoni di Livorno, luogo della storica scissione tra comunisti e socialisti del 1921. Gramolati è stato riconfermato segretario generale dello Spi Toscana di fatto all’unanimità, con il 98 per cento dei voti. La nostra chiacchierata è centrata sul “rito” del congresso e sulla crisi della rappresentanza. Lo Spi è una tra le più grandi organizzazioni sociali d’Europa. Gli iscritti allo Spi toscano, 226.876 alla chiusura del 2021, sono più numerosi degli iscritti a qualsiasi partito del nostro paese. Per dare un ordine di grandezza gli iscritti allo Spi sono di più di qualsiasi categoria di lavoratori attivi della Cgil. Ma i numeri non spiegano tutto. «Bisogna essere cauti con questo approccio – risponde –. Piuttosto che gratificarsi del fatto che abbiamo ancora dimensioni partecipative e organizzative migliori degli altri, bisogna riconoscere che la crisi della rappresentanza riguarda anche noi».

Perché riguarda anche voi?

«Perché il processo di disintermediazione in atto nella società interessa tutti i suoi gangli, con un problema in più: nel sindacato questo fenomeno può essere letale. La nostra ragione d’essere sta nel fatto che per cambiare le cose bisogna puntare sul noi, le cose si possono cambiare solo insieme agli altri. La disintermediazione nega ciò».

Questo vi porta obbligatoriamente a riflettere
sul vostro ruolo?
«Nonostante i numeri la nostra capacità di incidere, in una stagione dove la dimensione dell’io è soverchiante, è relativa. In altre parole esiste uno squilibrio tra la nostra dimensione organizzativa e la capacità di influire e di governare i processi. Per cui anche noi dobbiamo trovare nuove modalità di partecipazione, di azione sindacale, e anche nel fare congressi. Per esempio, penso che un congresso contenitore di tutto – la situazione internazionale, quella nazionale, quella locale – che si svolge in un arco temporale lungo rispetto alla velocità dei processi rischia di farci discutere in un contesto per poi fare scelte in un contesto completamente diverso».

Come agire allora?

«Piuttosto che avere ogni cinque anni un congresso per parlare di tutto, perché non organizzare passaggi intermedi, nei quali si fa una verifica dello stato dell’arte, si riflette sui cambiamenti e sulle scelte da apportare in corso d’opera?».

Con quali modalità, con quali mezzi?

«Perché non far partecipare, utilizzando le tecnologie, i nostri iscritti alla conoscenza delle azioni che il sindacato intraprende, di gran lunga maggiori di quelli che riusciamo a raccontare, e, al tempo stesso, non trovare forme di partecipazione anche a scelte che si devono fare, soprattutto per un sindacato come il nostro radicato nel territorio?».

Non può che essere questa la strada.
«Esatto. Intanto bisogna fare i conti con la più grande trasformazione sociale avvenuta dagli anni Sessanta: il fatto che si vive vent’anni in più.

Come riempire di benessere questi anni?
Non solo con la sanità, ma con la salute, la cultura, l’accesso alle informazioni, alle  conoscenze, con la libertà di viaggiare. Gli anziani dei prossimi anni saranno anziani cresciuti con Erasmus. Lo Spi non è solo il luogo dei pensionati, è l’approdo di tutti quelli che oggi sono giovani».

Ci vuole uno sforzo di immaginazione.
«Lo Spi deve pensare a chi dovrà arrivare ma anche a dove vuole andare. Quando dico che i prossimi pensionati saranno diversi da me, da te, non è denigrare la nostra di dimensione ma sapere che i giovani Erasmus alla nostra età avranno un’altra cultura e altri bisogni. Per cui bisogna essere più aperti, più dinamici e per questo probabilmente un congresso ogni cinque anni corre il rischio di essere un rito che non coglie le trasformazioni del quotidiano, che somiglia più a quello precedente che alla novità che si devono affrontare. Questo è un punto di debolezza oggettivo. Puoi avere più assemblee, più partecipazione ma, alla fine, se
tutto è cambiato e tu sei rimasto come cinque anni prima, si perde per strada qualcosa e qualcuno. Al congresso di Livorno hai anche visto il gruppo di LiberEtà, il gruppo degli economisti, quello sulla salute e la sicurezza, quello sull’innovazione. Tutto questo ci dice che in fondo la partecipazione cambia».

La sfida demografica può essere vinta
dagli anziani per conto proprio?
«È intrinseca la necessità di costruire un patto che vada oltre la dimensione dell’età anziana se si vuol difendere l’anzianità come una stagione della vita. Ogni nostra azione deve incrociare l’attenzione e lo sguardo di quelli che ancora vecchi non sono. Se si vuole avere un welfare di qualità, serve un lavoro di qualità. Se c’è più bisogno di natalità, servono non solo Rsa e assistenza domiciliare qualificate, ma anche gli asili nido. Le due cose vanno insieme».

Come si può modificare il Dna del sindacato?
«Bisogna essere attrattori di civismo e animatori sociali. Alle persone chiedo quanto mi possono dare. Se ti chiedessi di far la mia vita, cosa mi risponderesti? “Ale, ma che sei grullo?”. Però se ti chiedo “mi dai quanto mi puoi dare” vedrai che in quel tempo che riesci a mettere a disposizione per gli altri una mano la dai. E in quel tempo c’è un un civismo e un impegno che noi dobbiamo attrarre e animare. Solo così quell’energia non viene persa. Ma non possiamo assoggettarli a un modello di sindacato come è oggi, almeno per lo Spi non può esserlo».

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