Le Penny Wirton insegnano l’italiano agli stranieri usando un metodo innovativo, grazie a un’idea dello scrittore Affinati. In Italia sono sessanta
Una stanza grande, chiara e serena, alcuni supporti informatici, ma soprattutto tavoli ai quali due persone si siedono e si parlano faccia a faccia: insegnanti volontari e migranti che imparano l’italiano. Ci sono ragazze e ragazzi, bambini che frequentano la scuola regolare ma non riescono a inserirsi nei ritmi, uomini e donne, alcune velate e altre vestite alla moda, alcune con i figli piccoli che a casa non saprebbero a chi lasciarli, la donna con il velo e gli occhi neri che ti sorride curiosa. Gran parte ha alle spalle storie di dolore e barconi di cui non amano parlare. Se raramente lo fanno, capita che piangano, ricordando come sono approdati in un paese straniero sognato ma di cui non conoscono la lingua e in cui faticano a integrarsi, fare amicizia, trovare un lavoro. In questa stanza li si accoglie tutti senza discriminazioni e si cerca di metterli in grado di comunicare e integrarsi. Si tratta una scuola particolare che ha a disposizione i bei locali del Comune in piazza Dante Alighieri a Borgo San Lorenzo, capitale del Mugello a pochi chilometri da Firenze. Insieme alla scuola di musica, il dopo scuola, il centro per anziani. Una scuola senza classi, banchi, cattedre.
Una delle oltre sessanta scuole Penny Wirton in Italia che insegnano gratuitamente l’italiano ai migranti, seguono quella fondata dallo scrittore e giornalista Eraldo Affinati, insieme alla moglie Anna Luce Lenzi a Roma nel 2008. Con un metodo che cerca di trasmettere ai migranti una lingua sconosciuta come chiave dell’integrazione e del lavorare. Con spirito di accoglienza e inclusione per chi si sente solo al mondo. I tre princìpi fondamentali: non schiere di alunni ad ascoltare dal basso l’insegnante ma solo il rapporto diretto uno a uno, nessuna circolazione di denaro, né per le iscrizioni né per finanziamenti alla scuola né per gli insegnanti, l’accogliere chiunque lo chieda. Come spiegano sia Carlo Matteini, l’ingegnere in pensione che nel 2016 ha fondato la scuola di Borgo San Lorenzo, che Ludovico Arte, il preside dell’istituto tecnico per il turismo “Marco Polo” a Firenze, che due anni dopo ha inserito la Penny Wirton nel suo istituto già noto per apertura al mondo.
Dalla campagna alle città. La prima, in un ambiente più piccolo che facilita i contatti, frequentato comunque da non pochi migranti: «Dieci anni fa, quando arrivai, mi venne in mente di fondare la scuola vedendo quanti ragazzi c’erano, arrivati spesso da soli. Oggi accogliamo i loro figli», spiega Matteini. Il territorio è ricco di fabbriche e imprese dove poi alcuni trovano lavoro e la Penny Wirton li aiuta a fare curriculum, compilare pratiche e documenti. La seconda scuola, è invece in città, la prima a Firenze ospite di una scuola regolare, dove possono essere coinvolti studenti e insegnanti. Racconta il preside: «A volte sono i nostri stessi studenti a insegnare ai ragazzi venuti da fuori, i quali a loro volta sono felici di stare con coetanei. Una contaminazione di culture e di età. Una studentessa è uscita dalla stanza commossa: “È stata la migliore esperienza della mia vita”, ha detto. Lo fanno anche alcuni insegnanti della mattina che tornano a scuola gratuitamente il pomeriggio. La scuola pubblica è di tutti e la sua ricchezza sta nel mescolare storie e persone diverse. Possiamo diffondere l’idea di una nuova società aperta in un momento in cui si continuano a erigere muri e la conoscenza della lingua è il primo aiuto per non restare ai margini».
Il valore di conversare. Matteini e Arte spiegano che le scuole di Affinati non prevedono un percorso strutturato, ma il valore, più della grammatica, della conversazione, della spontaneità, impiegando le parole della vita reale, il crederci. Nelle Penny Wirton, spiega Matteini, «insegnano solo volontari, possono anche essere insegnanti o ex insegnanti, o chiunque altro si senta in grado di farlo, purché non pensino alla grammatica, ma siano capaci di costruire relazioni e fornire gli strumenti per comunicare nella vita». Vale anche il recitare: vedi nella sua scuola, la scenetta del bar, con una studentessa dietro a una immaginaria macchina del caffè e gli studenti che per l’occasione si improvvisano clienti.
Essere curiosi. Lui stesso era un ingegnere in pensione con la voglia di aiutare gli altri. «La prima spinta – dice – fu la curiosità di capire la solitudine di chi non riesce a comunicare». Arte fu affascinato da Affinati che alla radio parlava di don Milani: «Senza bisogno di soldi. La scuola è gratuita, si basa su volontari, bastano pochi materiali raccolti qua e là. Io ho iniziato contattando gli amici. Grazie anche alla collaborazione con la banca
del tempo e l’amministrazione locale, siamo riusciti a trovare locali e volontari. Abbiamo 25 studenti dai cinque ai settant’ anni, di tutte le etnie e i livelli di istruzione, e dieci insegnanti volontari, ben vengano altri. Non solo richiedenti asilo, quindi, ma anche chi vive qui da tempo e vuole migliorare a costo di arrivare stanchi dal lavoro. All’inizio la maggior parte erano giovani africani spesso analfabeti. Poi hanno portato qui le mogli e siamo alle seconde generazioni. Ci sono varie donne che facilitiamo, permettendo loro di portare i figli a scuola, e alcune che iniziano a studiare la lingua dopo trent’anni che sono qui. Non tutto è facile ma conta solo facilitare l’integrazione».
(dal numero di novembre 2025 di LiberEtà Toscana)









