La Giunta regionale toscana ha dato il via libera alla riorganizzazione dei sistemi sanitari, socio-sanitari e sociali della Regione. La delibera si lega al decreto del Ministero, il Dm 77, approvato la scorsa estate.
La Toscana disegna così l’architettura della nuova assistenza socio-sanitaria territoriale che andrà a regime nei prossimi tre anni e che avrà i suoi tre pilastri nelle case di comunità, ospedali di comunità e centrali operative territoriali. Si punta sull’integrazione e il potenziamento delle cure domiciliari, sullo sviluppo della sanità di iniziativa (percorsi di prevenzione per gestire meglio le malattie croniche) e sulla presa in carico sul territorio. Un ruolo importante l’avranno l’innovazione e i servizi digitalizzati, la telemedicina e il telemonitoraggio.
Nel percorso di ascolto e confronto che ha accompagnato il varo della riforma sono stati incontrate e sentite le direzioni sanitarie con le loro articolazioni interne, la conferenza regionale dei sindaci, la terza commissione del Consiglio regionale, gli ordini professionali, i sindacati, il consiglio dei cittadini e Anci Toscana.
Il cittadino continuerà ad accedere al sistema attraverso il 116117 (il numero unico per cure non urgenti), rivolgendosi al medico o al pediatra di famiglia, alle case di comunità o al punto unico di accesso, attraverso il segretariato sociale o ai punti insieme, ai consultori e ai servizi della salute mentale delle dipendenze, ai centri servizi e ai centri per le famiglie. La novità è costituita dalle centrali operative territoriali – 37 in tutta la Toscana, più di una dunque per zona distretto che sono ventotto, un medico e cinque infermieri in servizio in ognuna, aperte dodici ore al giorno per sei giorni alla settimana, una a turno anche la notte e la domenica – e che funzioneranno in back-office come una sorta di cabina di regia smistando percorsi e bisogni in base alle esigenze del cittadino, in modo integrato e semplificando, per i cittadini, percorsi amministrativi a volte ostici: non solo in uscita dagli ospedali come oggi fanno le Acot per le cosiddette dimissioni difficili e per pazienti che hanno bisogno di cure intermedie, ma anche in entrata, dai territori agli ospedali o anche tra i vari servizi del territorio.
Nasceranno le case di comunità, da 70 a 77 in tutta la regione, dove dovranno trovare casa non solo specialisti di base ma anche medici di famiglia, pediatri, infermieri di comunità e assistenti sociali. Offriranno assistenza in raccordo con la rete ospedaliera. La parola chiave è di nuovo integrazione, il coivolgimento di tutte le professioni sanitarie e la presenza di equipe strutturate. Un sistema a rete, con il soccorso delle Uca – evoluzione delle Usca – che offriranno aiuto nel caso di emergenze organizzative o di focolaio, attivabili dai medici di famiglia.
Nasceranno anche gli ospedali di comunità, per le cure intermedie di persone fragili o anziane o con patologie croniche che necessitano di interventi a bassa intensità, se non trattabili a domicilio. Ci sarà almeno un ospedale di comunità in ogni zona distretto o per società della salute, con circa venti posti letto ogni 50 mila abitanti.
L’intero sistema,dovrà andare a regime da qui a tre anni.