Tra Keynes e Trapattoni

Un corso dei pensionati Cgil racconterà l’economia e il calcio, due campi più vicini di quanto si pensi, con le idee di due grandi personaggi del passato. Intervista a Stefano Casini Benvenuti e Massimo Cervelli

Esistono due punti di riferimento migliori di John Maynard Keynes e di Giovanni Trapattoni per rappresentare due mondi che sembrano distanti anni luce, come il calcio e l’economia? Alla società di mutuo soccorso di Rifredi, organizzati dalla lega Spi del Quartiere 5 di Firenze, si terranno cinque incontri sul tema: Il nostro passato e pensare il nostro futuro. Tra Keynes e Trapattoni, (per informazioni www.smsrifredi.it; telefono 055.4220504). A curarli saranno un economista, Stefano Casini Benvenuti, ex direttore dell’Irpet toscano, e uno studioso di calcio, Massimo Cervelli, con la passione della radio (tra i suoi programmi, Gli spostati su Radio 2 insieme a Roberto Gentile). Keynes è una delle figure fondamentali della scienza economica, il suo pensiero e le sue opere hanno influenzato l’elaborazione economica, sociologica e politica del Novecento. Giovanni Trapattoni è un unicum nel panorama calcistico nazionale e anche internazionale. È uno dei tecnici più rappresentativi e vincenti del calcio italiano del dopoguerra.

Cosa c’entrano Keynes con Trapattoni e l’economia con il calcio?
(Massimo Cervelli) «Le due figure rappresentano un nuovo corso. Keynes nella trasformazione dell’economia post crisi del 1929 e nella dilatazione del ruolo dello Stato, Trapattoni nel prolungare il gioco all’italiana anche dopo che era passato di moda, cioè nel rifugiarsi in un gioco che non è mai a viso aperto, ma punta agli episodi, a colpire l’avversario, a fare contro gioco. Rappresentano il rovescio della stessa medaglia.

Come si esce da una crisi? Keynes apre e cambia, Trapattoni si rinchiude nelle certezze, difesa italiana e contropiede». Cerchiamo di capire meglio il senso di tutto questo.
(Stefano Casini Benvenuti) «L’economia è una cosa che noi tutti facciamo ogni giorno. I nostri comportamenti quotidiani sono pieni di azioni economiche. Quando vai a lavorare o al supermercato fai economia, ogni azione che fai rientra nella voce economia: contribuisce al Pil, agli investimenti, ai consumi, all’esportazione, all’importazione. Questioni macro in cui i singoli soggetti spariscono. L’opposto di quello che succede nel calcio. Anche se un po’ tutti abbiamo giocato a pallone, tutti ci riteniamo allenatori e giocatori in grado di emettere giudizi, depositari della scienza del calcio! Il tentativo del corso è avvicinare i due mondi, far sì che all’economia ci interessiamo un po’ di più e del calcio cominciamo a capire qualcosa di concreto».

Concorda Cervelli?
(Mc) «Siamo un popolo di santi, navigatori e anche allenatori. Però il calcio rimane
una cosa seria, perché è una materia scientifica, si fa con lo studio, si fa perseverando
sul lavoro. Noi parliamo chiaramente da amatori, da tifosi, ma è tutt’altro che semplice. Mentre l’economia, che tutto sommato potrebbe essere una cosa semplice, la facciamo così complessa e rinunciamo a capirla».

Perché l’economia è semplice?

(Mc) «Perché o si danno soldi al profitto da lavoro o alla rendita. Per questo, a mio avviso, come diceva Marx – che non abbiamo citato per stare bassi, preferendogli
Keynes – anche la cuoca e la cameriera possono governare l’economia».

Perché Trapattoni è diventato un archetipo del calcio?
(Scb) «Perché è il tipico rappresentante del gioco all’italiana. Di lui rimane l’immagine dell’uomo semplice che riesce a vincere sfruttando le caratteristiche dei giocatori che in alcuni casi sono considerate debolezze».

Anche Brera simpatizzava per Trapattoni.

(Mc) «Brera era sicuramente uno dei più colti fra i giornalisti italiani. Da conservatore, non amava la costruzione del gioco. Per Brera bisognava difendersi e ripartire fino a morire sul campo, quasi come un alpino della prima guerra mondiale. Difendeva Trapattoni, difendeva
l’italianismo, che è un’invenzione in assoluto, perché il nostro imprinting di gioco fin dal primo dopoguerra è quello del calcio danubiano. Con la fine della Grande guerra e la dissoluzione degli imperi centrali, austriaci e soprattutto ungheresi vanno in cerca di fortuna all’estero, portando le proprie conoscenze del calcio in paesi allora più arretrati
come il nostro. Poi, siccome il fascismo sogna l’autarchia, limitiamo l’utilizzo degli stranieri e ci inventiamo i “rimpatriati”, saccheggiando il Sud America. L’impostazione del nostro gioco è la somma del metodo ungherese con l’estro e il funambolismo del Rio de la Plata».
Nell’ultimo degli incontri programmati si parla di “via traversa”.

La potete spiegare?
(Scb) «Salvo eccezioni, il calcio oggi è spesso noioso, tutto orizzontale, in cerca di qualcosa che sfondi, di un gol. In economia, rifacendoci alla “traversa” di Hicks, ci troviamo invischiati in un’inerzia che non ci porta da nessuna parte. In questo senso, tra calcio ed economia si registra una sorta di convergenza nel trovare una via. Nel calcio lo si fa per sconfiggere l’avversario, ma anche l’economia è passaggi su passaggi nel tentativo di trovare una via diversa, senza più domandarci dove questa ci porti, perché siamo abituati a percorrerla».
(Mc) «Vogliamo fornire strumenti per capire la nostra storia e anche la secca in cui ci troviamo, dove sembra ci si debba abituare a una crescita delle diseguaglianze. Chiaramente non abbiamo l’ambizione di sovvertire lo scenario, però si possono trovare nuove strade da percorrere».

(dal numero di gennaio 2025 di LiberEtà Toscana)

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