Pianeta Terra 3. Aggiornare lo Statuto rileggendo la Costituzione

“50 anni fa lo Statuto dei Lavoratori. Celebrarlo forse non basta?”
Il contributo di Alessandra Pescarolo*

Facciamo parlare, anzitutto, una fonte storica: il 22 maggio, il giorno successivo all’approvazione dello Statuto, l’articolo di fondo dell’“Avanti”, organo del glorioso, ma scomparso, partito socialista, dichiarava: «La Costituzione entra in fabbrica». «Dopo le grandi lotte d’autunno», la classe lavoratrice è «all’offensiva […], impegnata nella costruzione di una società più democratica».
Vale la pena di riprendere due temi toccati in quelle righe: la Costituzione e l’autunno caldo.
Lo Statuto poté imprimere una svolta alla storia del lavoro riattivando il clima del dibattito costituzionale, basato sulla capacità, oggi deperita e dimenticata, di creare ponti fra forze politiche diverse. Certo, il partito comunista, ormai all’opposizione, dopo aver collaborato alla stesura dello Statuto, si astenne sul voto finale per la mancata applicazione dell’articolo 18 alle imprese fino a 15 addetti e l’assenza di norme contro i licenziamenti collettivi di rappresaglia. Emerse tuttavia nel dibattito, con la figura del ministro del lavoro Donat Cattin, una Democrazia cristiana democratica e laburista, capace di collaborare con i migliori socialisti, in continuità con le posizioni dei Costituenti che, da La Pira a Moro, avevano dialogato con Togliatti, Basso, Lina Merlin. Insieme appoggiarono la Carta a un principio che, a metà del Novecento, era retaggio delle sole Costituzioni socialiste: “una Repubblica fondata sul lavoro”. Il principio costituzionale del lavoratore come cittadino e come persona, dotata di dignità e libertà, fece con lo Statuto un grande passo avanti.
L’altro aspetto, a volte messo in ombra, è il ruolo di un movimento radicale come quello dell’”autunno caldo” del 1969 nel fare da sponda, più o meno intenzionalmente, a una svolta politica riformista.
Rispetto alla Costituzione, per motivi ovvi, lo Statuto si concentra sui lavoratori e sulle aziende. Ma esso parla soprattutto al sottosistema delle grandi fabbriche. Oltre all’esclusione dal principio del reintegro delle imprese con più di 15 addetti, sancito dall’articolo 18, è eloquente in questo senso l’accorpamento in un’unica categoria delle aziende da 1 a 200 addetti, ugualmente tenute a garantire i permessi sindacali retribuiti ai dirigenti di tutte le rappresentanze aziendali, che non sembra pensato per l’Italia della piccola impresa. In questo senso va ovviamente il riferimento all’assemblea da tenersi nei luoghi di lavoro.
Facciamo un cenno a ciò che è superato e a ciò che è vivo dello Statuto; è convinzione diffusa che la transizione in corso, con le sue pesanti sfide, richieda ai sindacati la capacità di ricostruire la solidarietà a partire da una negoziazione capillare e individuale, fronteggiando la frammentazione di cui sono l’emblema i lavori telematici a domicilio. La concertazione deve convivere con la valorizzazione di bisogni e vocazioni diversificati: occupati e disoccupati, donne e uomini, giovani e anziani, autoctoni e migranti, lavoratori con livelli diversi di istruzione e qualificazione. Le tecnologie telematiche, insieme a una crescente interazione con la scuola, possono in questo senso diventare una risorsa.
La chiave della difesa dei diritti sta a mio avviso nella loro integrazione con altri snodi del testo costituzionale. Per definizione lo Statuto, con le sue radici in un contesto industriale gerarchico e repressivo, ci parla dei diritti dei lavoratori. La Costituzione parla invece del lavoro anche come dovere: un principio  che si scontra oggi con una  debole domanda di lavoro e richiede una serie  di politiche capaci di frenare una deriva assistenzialista. La Carta parla, inoltre, del diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende. Raramente percepito come tale nel mondo del lavoro italiano, questo diritto allude a una responsabilizzazione che renderebbe più concreta l’aspirazione dei lavoratori a essere una componente rispettata e ascoltata dell’impresa: una prospettiva che oggi il sindacato valuta con attenzione.
(*Alessandra Pescarolo: nata a Firenze il 5 maggio 1947, risiede a Fiesole. Ha diretto l’area di ricerca “Società” dell’Istituto per la programmazione economica della Toscana e insegnato Sociologia e storia del lavoro, come docente a contratto, all’Università di Firenze.)

Sommario

Recenti