Partendo dal confronto tra Sergio Cofferati e Marco Tognetti che ha inaugurato la rubrica Pianeta Terra, pubblichiamo il contributo di Manuele Marigolli, Presidente CAAF CGIL Toscana.
Manuele Marigolli
Sono nel piazzale dietro casa mia e passeggio come un detenuto nell’ora d’aria. Rifletto sulla conclusione dell’articolo di Marco Tognetti e anch’io mi domando cosa ci riserva il futuro. Invidio il suo ottimismo della volontà, soprattutto invidio la sua età. Tutto è fermo, salvo gli ospedali, i supermercati, e poco più. Mi domando quanto può durare, non solo l’isolamento, ma anche la tenuta di tutto ciò che conosciamo, del mondo che abbiamo attraversato, della sua capacità di produrre ricchezza e reddito, delle nostre relazioni, dei nostri affetti, delle nostre abitudini, delle nostre piccole soddisfazioni. Dietro casa mia c’è una tessitura, quando l’aria spira verso di noi sento l’odore di antistatico portato sulle ali del vento. Sento il rumore dei telai, il battere della spola e lo sferragliare delle licciate, sono il cuore pulsante di questa città. Sono nel piazzale, un silenzio assordante è calato nelle mie orecchie, ascolto solo i miei passi che battono sull’asfalto. Oramai tutti ne siamo consapevoli, domani quasi nulla sarà come è stato. Lo penso con nostalgia, non perché il mondo era particolarmente giusto, anzi, ma era il nostro mondo risultato di azioni individuali e collettive, fatto di contatti fisici, di sguardi, di arrabbiature, d’ironie che non potranno mai essere sostituite da nessuno “smile”. Non vi nascondo che questo pensiero mi inquieta. Ma dovrò adattarmi, non ho alternativa. Dovrò imparare a fare cose nuove e, prima lo farò e meglio sarà. Il tempo di convivenza con questo maledetto virus purtroppo sarà lungo. Non ci sarà nessuna ripartenza, come dopo il fischio di un fallo e il gioco riprende da dove era stato interrotto. Ci sarà un contesto nuovo in cui il gioco si svolgerà.
In televisione c’è un dibattito in cui al quando si contrappone il come. Trovo la discussione sbagliata nei fondamentali, il quando dipende dal come e prima si definisce il come, prima arriva il quando, il tempo non è infinito, non è una variabile indipendente. Prima lo faremo e minori saranno i danni che abbiamo subito. Dovremo convivere a lungo con il distanziamento sociale, le mascherine, i guanti, le sanificazioni, le terapie intensive. Nel frattempo dovremo far ripartire le fabbriche, investire nella riorganizzazione territoriale della sanità se vogliamo affrontare il nemico riducendo il rischio del contagio nell’ambito di una gestione compatibile con il sistema sanitario. Dovremo rafforzare le cure intermedie, la domiciliarità, controlli da remoto, in attesa che il vaccino arrivi. Se il segnale che la pandemia ci ha mandato verrà colto, come un allarme di sofferenza del pianeta, allora come recita un vecchio adagio “non tutto il male vien per nuocere” potremo sperare che un mondo migliore sia davvero possibile.