Pianeta Terra 1. La lezione di quel che siamo stati c’è in quello che stiamo diventando?

Questa domanda apre il confronto tra un protagonista di un stagione che fu e un giovane attore di una stagione che speriamo che sia. Sergio Cofferati (72 anni), Marco Tognetti (36 anni). 

Marco Tognetti

Da 14 anni provo a favorire e supportare processi di innovazione nelle imprese, nel terzo settore e nelle istituzioni pubbliche. Questa professione, che mi sono tutto sommato “inventato” nel 2006 con altri compagni di viaggio (allora tutti under25), mi ha permesso di viaggiare dai villaggi intorno a Blantyre (Malawi) dove non arriva né acqua corrente né elettricità, ai grattacieli di Shanghai (Cina) dove ho per la prima volta pagato un taxi senza usare né banconote né carte elettroniche ma semplicemente inquadrando un codice QR con il mio smartphone. Ho vissuto il Social Forum del 2002 con la fiducia che “un altro mondo” fosse possibile, ma allo stesso tempo, non nego, ho apprezzato i voli low cost della Ryanair, la possibilità di prendere in affitto un appartamento con Airbnb e le prime videochiamate su Skype. Ho sofferto ogni giorno nel traffico di Firenze, ho rimpianto le nevicate di Natale a Milano (che ormai non si vedono più) ed ho brindato il giorno della messa al bando ufficiale dei sacchetti di plastica. Mi sono indignato scoprendo le disuguaglianze nell’accesso a servizi sanitari di base tra la Calabria e il Veneto, ho cercato nei coworking forme di mutualismo per le nuove, fragili, professioni a partita IVA e ho sostenuto che esiste tecnologia che serve e tecnologia che vende, e che spesso non coincidono. Con profondo rispetto e rammarico per coloro, troppi, che hanno perso la vita, trovo che da Covid-19 emerga un’agenda politica di urgente attualità. Per titoli: più ambiente, più tecnologia al servizio dell’impatto sociale, più servizi pubblici, necessità di forme di reddito universale, importanza delle organizzazioni della società civile e del volontariato, insostenibilità di economie basate prevalentemente sulla rendita, necessità di nuovi modelli di città, valorizzazione dei localismi e delle aree interne e allo stesso tempo importanza della collaborazione internazionale. A ben guardare, nulla di straordinariamente innovativo. La novità, forse, è che non sono la morale, o la riflessione intellettuale, o un’ideologia a dircelo. È la quotidianità in isolamento che sta facendo sperimentare questi bisogni a milioni di persone contemporaneamente. Nell’ottica di un’economia di mercato, alla fine dell’emergenza (e finirà) tutto questo può diventare la grande occasione per nuove forme di offerta tanto in economia quanto in politica. Ma nell’ottica del capitalismo, che non è la stessa cosa, Covid, come ogni altra crisi, è l’occasione per sfruttare i bisogni di tanti a beneficio di pochi, speculando sulla caduta dei prezzi e sperequando ancor di più la ricchezza e il potere. Per questo anche se “socialmente distanti” dobbiamo metterci al lavoro subito, prima che sia domani, perché un mondo migliore è possibile, ma non ce lo regala nessuno.
 

Sergio Cofferati

Ormai è scontato che i cambiamenti saranno enormi, a tal punto che i verbi ripartire e ricominciare sono inadeguati perchè non rendono esplicito che per tantissime cose il passato non si riproporrà più e dunque non potrà essere quello dal quale far partire la costruzione delle architravi del vivere civile. Per questo il nostro passato non sarà riproponibile automaticamente anche nelle sue forme migliori. Esiste un tempo del traghettamento per sconfiggere la pandemia, quello che va dal dramma attuale al suo superamento attraverso la scoperta di un efficace vaccino. Non sappiamo quando avverrà. In questo tempo indefinito non dobbiamo stare fermi ad aspettare la fine del dramma. Dobbiamo essere consapevoli che quello che abbiamo costruito sarà in parte solo un reperto storico, certo con il suo valore, ma non più riproponibile. Per fermare il virus sono necessari non solo gli interventi sanitari ma rigidissimi comportamenti che vanno dall’utilizzo di strumenti di protezione (guanti, mascherine) all’indispensabile distanziamento tra le persone. Il rispetto rigoroso di questi vincoli presuppone il cambiamento del modo di produrre con il ripensamento del lavoro umano e del funzionamento degli impianti, inciderà inoltre sulle forme di rappresentanza e di socializzazione di chi lavora. Sono questi alcuni dei pilastri della società moderna e della sua economia e che, tra le altre cose, garantiscono la coesione sociale .Stiamo ancora vivendo in una società che ha preso forma nella metà del 1800 ed è arrivata fino ad oggi trasformandosi ma mantenendo sempre il suo impianto generale. Il dramma che stiamo vivendo interrompe questo percorso. Bisognerà cambiare rapidamente molte coordinate del modello per fermare il virus attuale e per prevenirne con efficacia eventuali e non auspicabili nel futuro. Le persone dovranno recarsi nei luoghi della produzione e lavorare con modalità del tutto diverse rispetto a prima. Ma anche i luoghi che li ospiteranno dovranno cambiare: spogliatoi, mense, disposizione delle macchine, raccolta e immagazzinamento del prodotto. Questo varrà per il manifatturiero, per le produzioni di base, per l’agricoltura, per il terziario e la logistica. Pensare dunque alla nuova organizzazione del lavoro è priorità assoluta per la difesa della nostra salute e per la riattivazione dell’economia. Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della nascita dello Statuto dei Lavoratori. La protezione e difesa dei diritti individuali e collettivi di chi lavora garantisce la loro dignità e dà valore alla democrazia. La modalità principale della loro attuazione è storicamente data dall’agire collettivo. Nel nuovo lavoro non sarà possibile farlo come prima. Per questo nel ripensare il lavoro bisognerà contestualmente ripensare alla rappresentanza e all’esercizio della democrazia. Senza aver timore nel cercare nuove forme ma determinatissimi nel confermare i valori che hanno fatto la Storia.
 
 
 
 
 
 

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