L’orgoglio della giudice

dal numero di marzo 2024 di Liberetà Toscana

Silvana Sciarra, presidente emerita della Corte costituzionale, si racconta. Il rapporto con le figlie, il voto trasversale del Parlamento per un incarico che ha richiesto un impegno totalizzante. Allieva del giuslavorista Gino Giugni, ha portato con sé la sensibilità per i diritti nei luoghi di lavoro

«Mi è talmente piaciuta questa esperienza», lo dice chiaro e tondo con quella sua aria dolce ma decisa che nega l’ostentazione ma non il valore delle cose. L’ex presidente della Corte costituzionale, Silvana Sciarra ha terminato da poco l’avventura di nove anni come giudice della Corte, iniziata nel 2014 e proseguita con la carica di presidente dal settembre
2022 fino alla scadenza del mandato, l’11 novembre 2023. Laureata in giurisprudenza, allieva di Gino Giugni, il padre dello Statuto dei lavoratori, ha insegnato diritto del lavoro e diritto sociale europeo nell’università di Firenze e nell’Istituto universitario europeo.
Seconda donna presidente della Corte costituzionale dopo Marta Cartabia, è stata la prima donna eletta dal Parlamento in seduta congiunta, con una maggioranza strepitosa e trasversale di 630 voti, superando di ben 60 il quorum di tre quinti richiesto dopo la terza votazione per l’elezione dei giudici costituzionali.

Una grande emozione, immagino.

«Immensa emozione. Avevo dato la mia disponibilità in linea di massima, ma prima di accettare che fosse proposta la mia candidatura ne ho parlato a lungo con le ragazze».

› Le ragazze?

«Le mie due figlie. Giovani donne che mi sono state straordinariamente e con intelligenza accanto in tutti questi anni. Non sono più bambine ma chi crede che la storia madri-figlie si alleggerisca di responsabilità una volta cresciute, sbaglia. È per sempre».

› Dunque racconti.
«Le madri temono spesso di essere invadenti. Ho spiegato loro che non sarebbe stato uno scherzo, ma un lavoro totalizzante che avrebbe preso a me e rubato a loro un sacco di tempo. Mi hanno incoraggiato e dato fiducia».

› Orgogliosa comunque di avere sfondato il tetto di cristallo?
«Orgogliosa tre volte: per me, per le mie figlie, per tutte le altre donne».

› Un’avventura che parte anche come storia di donne.
«E tale resta anche dopo, con la sindrome che colpisce tutte quelle che hanno famiglia e lavoro: non riuscire a essere mai abbastanza né di qua e né di là».

› E come ha fatto?

«Come tutte. Mi sono buttata a capofitto nel lavoro della Corte quando ero là, e cucinavo quando tornavo a Firenze».

› Cosa le è piaciuto di questa esperienza così impegnativa?
«Sono orgogliosa di aver ricevuto tanti voti in Parlamento, a conferma della necessaria trasversalità del consenso, ma ho anche avvertito una grande responsabilità. In Corte ho sentito sempre forte l’impegno della collegialità. Non essendo prevista, a differenza di altre corti, l’opinione dissenziente, è costante la ricerca del consenso e si apprezza l’importanza dell’ascolto, del dialogo, del ragionare insieme. Per arrivare a un giudizio di sintesi tra quindici persone (tra cui quattro donne, ora di nuovo tre, senza di me) assai diverse per formazione e provenienza professionale. Serve molta dedizione, ma è un’esperienza entusiasmante».

› Cosa ancora le è piaciuto?
«L’allargamento degli orizzonti. Nella Corte costituzionale si viene a contatto con materie molto diverse. Io, giuslavorista, mi sono trovata alle prese con il fine vita o la tutela dei nati da coppie dello stesso sesso, per citare solo due delle tante questioni che mi hanno impegnata come relatrice».

› Così si è allontanata dalle sue questioni di lavoro?
«No, mi inorgoglisce il fatto che mi siano state assegnate molte questioni di diritto del lavoro, in materia di licenziamenti, di contrattazione collettiva e molte questioni di previdenza sociale; tutte mi hanno appassionato».

› La sua sentenza “prediletta” è in questo campo?
«Sì. Quella in cui si è dichiarato incostituzionale il blocco pluriennale della contrattazione nel settore pubblico. La Corte ha ritenuto violata la libertà sindacale da cui si fa discendere il diritto alla contrattazione. Nel redigere quella sentenza ho fatto anche riferimento a fonti europee e internazionali».

› Cosa vorrebbe dire alle giovani donne?
«Mai fermarsi, perseverare sempre. Studiare, acquisire saperi, far capire che si è in grado di affrontare le sfide e anche condividere il più possibile le nostre aspirazioni con gli uomini che ci stanno accanto, senza escluderli. Mi piace parlare di “pedagogia della parità”: credo sia un modo per abbattere gli stereotipi di genere».

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