Il servizio sanitario nato nel 1978 per dare cure a chiunque, a prescindere dalla condizione economica, rischia di collassare, minacciato dalla mancanza di risorse, da lunghe liste d’attesa, dalla crisi della psichiatria pubblica
«Arriva nel nostro ospedale un neonato in condizioni disperate, con una polmonite interstiziale bilaterale da enterovirus: ha bisogno di supporto respiratorio e tanto d’altro ma le probabilità di farcela sono poche, pochissime; medici e infermieri fanno il possibile e l’impossibile, nessuno pensa ad altro che alla vita di quel piccolino. Dopo qualche giorno, Luca (non è il suo vero nome) mostra segni di ripresa per poi migliorare giorno dopo giorno; dalla rianimazione alla pediatria e poi a casa, guarito. Luca è figlio di un pastore».
Lo racconta il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri – Irccs di Milano e autore di numerose pubblicazioni, nella prefazione al libro di Renzo Berti, Ilaria Ulivelli, Luigi Caroppo, Stefano Vetusti, dal titolo Si salvi chi può? Rinascita o morte della sanità per tutti (edito da Le Lettere). Senza la sanità pubblica, dice Remuzzi, quel bambino non sarebbe vivo. È quello che potrebbe accadere e in parte già sta accadendo in Italia dove la sanità pubblica, denuncia il libro, si sta via via ritirando e lascia spazi sempre più ampi alla sanità privata.
Una sanità per ricchi. Chi ha soldi può curarsi, chi non li ha è costretto a rinunciarvi. Come accade negli Stati Uniti, ricorda Remuzzi, dove pure, nel lontano 19 novembre 1945, di fronte al congresso il presidente Harry Truman lanciò questo messaggio: «Molti dei nostri concittadini non sono in buona salute e non hanno abbastanza soldi per curarsi, è venuto il momento di aiutarli…». Truman perse la sfida, l’America andò in un’altra direzione e altri dopo di lui fallirono nel tentativo di aprire la strada a una forte sanità pubblica. Così se andate a frugare oggi nei social, sulla stampa americana, troverete storie strazianti di persone malate di cancro che si vedono interrompere le cure perché la loro assicurazione privata non copre più le spese. Non hanno i soldi sufficienti per salvarsi. La speranza è che questo tragico epilogo sia evitato qui da noi, dove il sistema sanitario pubblico costruito con la riforma del 1978 era considerato un modello da imitare in tutto il mondo. Un modello che ora scricchiola e rischia di affondare. «A rimetterci – dice Remuzzi – saranno i più fragili, i più poveri. Saranno loro a pagare il prezzo più alto del naufragio. E proprio quella fascia, anziani, soli, dimenticati, oggi cresce. Ed è quella che sempre più spesso è costretta a rinunciare alle cure». Secondo l’ultimo rapporto Bes dell’Istat, nel 2023 ben quattro milioni
e mezzo di italiani hanno rinunciato a farsi curare. Un numero che cresce ogni anno: dovrebbe essere un’emergenza nazionale. È un affronto ai princìpi che ispirano il nostro vivere in società, sanciti dalla Costituzione, la quale all’articolo 32 recita che «la salute è un
fondamentale diritto dell’individuo e la Repubblica garantisce cure agli indigenti».
Liste d’attesa ingolfate. Le liste di attesa contribuiscono a gonfiare i numeri degli esclusi. In Toscana almeno trequattro prescrizioni su dieci non arrivano nemmeno al momento della prenotazione. Si perdono prima, svanite nel percorso. I pronto soccorso divengono l’ultima
speranza e vengono presi d’assalto. Attese infinite, tensioni crescenti, aggressioni al personale sanitario. Le Oltre centomila. Le firme rette delle Rsa sono insostenibili per la maggior parte delle famiglie e così c’è chi si ritrova a dover vendere casa per pagarle. Chi cura a casa i propri anziani finisce per dar fondo ai risparmi, abbandonato da tutti.
Salute mentale. Poi c’è il buco nero della salute mentale, con le famiglie abbandonate a sé stesse nell’assistenza di malati cronici spesso non gestibili. Una piaga che contrasta con le ambizioni della storica riforma degli anni Settanta che portava il nome di Basaglia e puntava a una rivoluzione dei servizi e a chiudere i manicomi per curare e prendersi cura dei malati sul territorio. Per avere una prima visita neuropsichiatrica per un adolescente alla Asl occorre aspettare anche un anno. I centri di salute mentale per adulti non sono attrezzati per gestire l’età evolutiva. Eppure la Toscana è sempre stata all’avanguardia nel campo della salute mentale. Lo testimonia il progetto che addirittura dieci anni prima della legge Basaglia misero in campo alcuni psichiatri illuminati a Firenze: il professor Arnaldo Ballerini e il dottor Paolo Laszlo, con i colleghi Mario Taddei e Gianni Padovani. Furono loro
a inaugurare, nel 1968, il cosiddetto Reparto aperto al manicomio di San Salvi, dove centinaia di persone poterono essere curate e poi dimesse, evitando di finire cronicizzate in manicomio. Fu una rivoluzione.
La fine del sogno? Ma oggi anche di quel sogno resta poco o nulla. La sanità viene relegata in secondo piano. Ma non tutto è perduto, la speranza resta. A patto però che ci sia una svolta, con la consapevolezza che occorrono risorse e che forse lo Stato da solo non ce la può fare. Cambiare dunque, senza demonizzare il privato ma integrandolo con il pubblico, in modo virtuoso e con modalità che il libro cerca di suggerire. Riscoprendo concetti traditi e strategici come la prevenzione.