(dal numero di aprile 2023 di LiberEtà Toscana)
«I congressi di Cgil e Spi ci consegnano un’organizzazione unita sugli obiettivi politici e sindacali. Il risultato è chiaro. Rimane però in ombra il rapporto tra noi e la politica. Al netto della radicale autonomia che orgogliosamente rivendichiamo, la relazione tra sindacato e politica è cruciale per il futuro di un’organizzazione che rappresenta milioni di iscritti». Insegnante in pensione, Mario Batistini è stato riconfermato da poco alla guida dello Spi Cgil di Firenze.
Puoi spiegarti meglio?
«Abbiamo una linea programmatica chiara, ma facciamo fatica a mobilitare le persone perché non siamo in grado di far capire loro fino in fondo che le nostre battaglie possono risolvere questioni importanti. E in questo c’entra la nostra capacità di incidere. Fin dai tempi di Trentin abbiamo difeso la nostra autonomia dalla politica ma non possiamo nasconderci di avere bisogno di un rapporto con la politica, altrimenti le nostre proposte rimangono senza interlocutori. Avverto però una reticenza, una paura, anche tra i nostri gruppi dirigenti ad aprire una riflessione sull’argomento».
Non si rischia una confusione di ruoli o indebite invasioni di campo?
«Che rapporto ci deve essere in una società liquida, fatta di “appartenenze Dopo il congresso Cgil leggere”, tra rappresentanza sociale e politica? I corpi intermedi possono avere ancora un ruolo significativo o è tutto ridotto alla connessione diretta tra leader
politici e singoli cittadini che contano sempre meno? Ancora: come possiamo rendere più efficace la nostra azione sindacale e sociale? Sono tutte domande che un sindacato moderno deve farsi, senza per forza guardare all’indietro, a un mondo che non c’è più. Il problema si pone anche in casa: come dobbiamo rapportarci con iscritti che provengono
da culture politiche estranee al nostro quadro di valori? Certo, per un sindacato corporativo il problema non si pone, ma noi siamo un sindacato confederale che non può non occuparsi di temi generali (e quindi politici) come democrazia, partecipazione, ecologia, lavoro».
Nell’intervento al congresso regionale dello Spi, hai detto: «La gente vede le ingiustizie, ma ha la sensazione di non poter cambiare le cose». Cosa fare per rappresentare meglio queste persone?
«Tra la gente trovi un’ampia condivisione delle nostre proposte, ma nello stesso tempo uno scetticismo sulla possibilità che le cose cambino. Dal “tanto non ci ascoltano” si fa presto a passare al “tanto non vi ascoltano”. Riguarda il rapporto con la politica ma anche il modo con cui ci poniamo: abbiamo competenze enormi, ma anche noi patiamo uno scarto tra capacità di fare analisi e i problemi concreti delle persone, cui dobbiamo avvicinarci anche con nuove formule comunicative».
Quali priorità vedi per lo Spi?
«Fondamentale non perdere il treno della riorganizzazione territoriale della sanità pubblica. Dobbiamo vigilare perché il rischio concreto è che gli investimenti previsti dal Pnrr per case e ospedali di comunità si infrangano contro le difficoltà quotidiane e la mancanza di personale in sanità. Abbiamo messo in guardia la Regione: non vogliamo che un eventuale fallimento del piano pubblico sia il preludio di una privatizzazione di quei servizi».
Priorità a Firenze?
«Anche il territorio metropolitano di Firenze ha aree interne, come il Mugello e parti del Chianti, che faticano a rimanere al passo e in cui vivono per lo più anziani. In queste zone il problema della mobilità è in molti casi più sentito della mancanza di servizi. L’altra questione riguarda in particolare la città di Firenze: dal 2017 ci battiamo per avere nuove forme di residenzialità per anziani e il nuovo piano del Comune accoglie anche nostre proposte. Ora si tratta di regolamentare questo tipo di insediamenti per assicurarsi che rimanga ferma la loro finalità sociale».