Pensionati al lavoro

Solo in Toscana, sono almeno 60 mila gli anziani che hanno trovato un impiego o hanno deciso di continuare a lavorare. Molti lo fanno per arrotondare assegni sempre più bassi, mentre il costo della vita sale

In Toscana circa sessantamila pensionati sono tornati a lavorare. La cifra dell’Inps secondo i sindacati è sottostimata. Molti lavorano in nero, non sono registrati, non figurano nelle statistiche ufficiali. Fanno i giardinieri, gli amministrativi, i muratori. C’è chi decide di aspettare ad andare in pensione e resta a lavorare, perché la pensione sarebbe troppo bassa. «Riscuoto 900 euro al mese di pensione – racconta Saverio T., 66 anni – nella mia vita ho fatto tanti lavori. Purtroppo per tanti anni, quand’ero giovane, non mi sono stati versati i contributi. Oggi mi arrangio un po’, per arrotondare. Se mi chiamano per fare dei lavori di ristrutturazione in appartamenti vado. No, no, senza contratto, mi pagano a nero, così racimolo un po’ di soldi tutti i mesi per integrare la pensione». I pensionati in Italia sono una delle categorie più maltrattate. Negli ultimi anni, in particolare, hanno subìto vere e proprie stangate.

Mancata rivalutazione
. Le nuove pensioni sono più basse che in passato perché vengono calcolate sia con il sistema retributivo sia contributivo. Non solo. Gli assegni non vengono rivalutati. Questo si traduce nei fatti in un taglio della pensione, in una costante perdita di potere di acquisto. Se i prezzi aumentano e la pensione rimane la stessa è come riscuotere di meno. Una vera e propria ingiustizia. Di recente uno studio realizzato da Itinerari previdenziali e Cida ha messo in luce dati che fanno riflettere. Il 21,9 per cento dei pensionati che riscuotono oltre quattro volte il trattamento minimo (pari a 616,67 euro), vale a dire oltre 2.500 euro lordi (quindi non netti, si badi bene), ha visto la propria pensione rivalutata di poco o con una rivalutazione quasi azzerata a causa del meccanismo introdotto dal governo Meloni.

La stangata.
Un sistema che si è tradotto in una vera e propria stangata in particolare nel biennio 2023-2024 quando c’è stato un boom dell’inflazione. Per fare un esempio, riguardo a quel biennio, un pensionato con una rendita tra 2.627 e 3.152 euro lordi ha avuto una rivalutazione del 4,3 per cento, mentre il tasso di inflazione definitivo è risultato dell’8,1 per cento. Non solo. Quella rivalutazione del 4,3 per cento è stata applicata sull’intera rendita e non a scaglioni. In sostanza il governo ha fatto cassa sulla pelle dei pensionati e queste perdite subite dai pensionati si trascineranno nel tempo, saranno permanenti. Per i pensionati sopra i 2.500 euro lordi la perdita legata alla ridotta rivalutazione, nello studio citato è stimata per i prossimi dieci anni in almeno 13.000 euro. E questa fascia pensionistica, che riguarda circa tre milioni e mezzo di pensionati, è quella che assicura al bilancio dello Stato il 62 per cento dell’intera Irpef versata dalle pensioni.

Riduzione “legittima”.
Nel gennaio scorso, con la sentenza numero 19 del 2025, la Corte
costituzionale ha dichiarato legittima la riduzione della rivalutazione per fasce di reddito (pensione) e non fondate le questioni di legittimità costituzionale sulla legge di bilancio 197 del dicembre 2022. Ma il 30 giugno il tribunale di Trento ha sollevato una nuova questione di legittimità chiedendo alla Corte costituzionale se è legittimo che la rivalutazione ridotta introdotta dalle leggi di bilancio 2023 e 2024 del governo Meloni venga applicata all’intera pensione e non a scaglioni, cioè solo sulla parte che eccede le quattro volte (e oltre) il trattamento minimo. Così si capisce perché molti pensionati decidono di non lasciare il lavoro.

(dal numero di novembre 2025 di LiberEtà Toscana)

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