Fare i conti con il clima

(dal numero di luglio/agosto 2024 di LiberEtà Toscana)

Dobbiamo abituarci all’idea che i mutamenti climatici cambieranno le nostre campagne. Sta già avvenendo. Intervista a Bernardo Gozzini

Bernardo Gozzini, amministratore unico del consorzio Lamma, volto noto anche perché lo vediamo intervenire nei telegiornali Rai come esperto di previsioni meteo, è stato tra i relatori dell’iniziativa organizzata dallo Spi Cgil a Quarrata lo scorso 11 giugno sull’emergenza climatica. In quell’occasione è stato presentato Fango, un album fotografico che mette insieme le tragiche alluvioni delle Marche del 2014 e del 2022, dell’Emilia Romagna e della Toscana del 2023.

Gozzini, parleremo tra poco di fango e di alluvioni, ma prima una curiosità: da qui a vent’anni, se ai cambiamenti climatici non si metterà un freno, cosa ne sarà del modello produttivo delle nostre campagne? Dei nostri vini e di altre produzioni tipiche?
«Gli agricoltori, più di tutti al centro dei cambiamenti climatici, sono abbastanza consapevoli: capiscono prima degli altri e cercano di adattarsi alla nuova situazione. Cominciano, ad esempio, a piantare le vigne più in alto, la vite diventa sempre più, come si può dire, da collina. Anche in Toscana cominciano a vedersi nuovi impianti già dotati di irrigazione a goccia, una soluzione di sicurezza per gli anni siccitosi, potendo utilizzare la ventola già installata all’inizio».

Si adattano?
«La siccità è un fenomeno sempre più ricorrente che incide sulla produzione della vite. Alzare la quota delle viti serve per conservare la qualità, anche se probabilmente il vino cambierà nelle sue caratteristiche organolettiche e sarà sempre più difficile bere un Chianti classico o un Brunello di Montalcino come siamo abituati a conoscerli. La vite in Valle d’Aosta l’hanno piantata a mille metri d’altezza, una quota piuttosto elevata. L’hanno ripiantata in Gran Bretagna. Gli inglesi stanno producendo uno spumante che sembra di qualità buona».

Le novità interessano solo la vite?
«Riguardano, ad esempio, anche l’ulivo. L’Appennino era considerato il limite della sua area di coltivazione, mentre oggi si coltiva anche in Valtellina, in Trentino. Chiaramente questo porta a cambiamenti anche nella qualità dell’olio, che sta diventando un prodotto sempre più costoso. Con una ripercussione sulle economie delle stesse famiglie. Le ondate di caldo o di freddo, le alluvioni, si ripercuotono sui prodotti ortofrutticoli e quindi sul loro costo. Gli agrumi, al Sud, vengono sempre più sostituiti da mango, avocado, banani. Al Sud cominciano a vedersi anche le prime piantagioni sperimentali di caffè, per testare se la pianta riesce a reggere il nuovo clima. Stanno aumentando le superfici a legumi, un sintomo dei cambiamenti nell’alimentazione. La produzione del pomodoro da industria al Nord è ormai superiore a quella del Sud. È una nuova realtà che risente dei cambiamenti climatici, e a cui è necessario adattarsi in un modo che sia sostenibile anche per gli agricoltori».

Le alluvioni, il fango e i disastri di Marche, Emilia Romagna e Toscana ci dicono che bisogna cambiare strada.
«I cambiamenti climatici ci costringono ad adattarci a questi eventi estremi che non siamo abituati a vedere, ma che dobbiamo affrontare perché diventeranno sempre più frequenti».

Però li affrontiamo ancora come se fossero emergenze impreviste.

«D’altra parte, abbiamo narrazioni dei cambiamenti climatici, quasi negazioniste, a cominciare dal nostro governo. Finché non ci sarà la consapevolezza a livello politico e di governo che il cambiamento climatico è in atto, nulla cambierà».

Nel senso che anche voi previsori, meteorologi,
studiosi del clima siete messi in discussione?
«Le previsioni del tempo sono ormai entrate sui nostri telefonini. Dopo quelle dei giochi, le app meteorologiche sono le più usate. Il meteo diventa nella nostra vita quotidiana un elemento indispensabile. Ha una sua valenza indipendente dal cambiamento climatico».

Per cui guai a sbagliare previsione?

«Il cambiamento climatico ti mette davanti a una sfida, bisogna prevedere eventi che, a volte, si mostrano più estremi del previsto. Si richiede un elevato livello di certezza della previsione. I negazionisti non metteranno in discussione il meteo ma parlano di eventi talmente rari del passato per sostenere che quegli eventi sono sempre successi, per cui, perché cambiare? È un modo per annacquare le tesi della comunità scientifica e sabotare i movimenti giovanili che chiedono di mettere l’attenzione sul tema del clima».

Altrimenti si arriverà inesorabilmente a un punto di non ritorno?
«Se non si riusciremo a capire questo, assisteremo a una escalation di eventi sempre più disastrosi senza trovare soluzioni. Non è un problema solo l’italiano».

Che si deve fare?
«Al Gore, in una recente intervista, si è mostrato ottimista: sostiene che il mondo sta cambiando, la transizione energetica sta cominciando a funzionare, e sempre più, su scala mondiale, utilizziamo energie rinnovabili. Prima qualcuno sosteneva che le energie rinnovabili non avrebbero mai raggiunto il 10 per cento della produzione complessiva. In Italia oggi ci sono giorni in cui l’energia elettrica è addirittura tutta prodotta da fonti rinnovabili. Stiamo cambiando mentalità, anche se conosciamo la difficoltà di rispettare i paletti stabiliti dalle Cop, i vertici internazionali sul clima. I grossi produttori petroliferi naturalmente non hanno smesso di produrre e di vendere petrolio, però molti stanno cominciando a investire su altre energie come quella eolica o solare, per sfruttarle al meglio».

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