(dal numero di settembre 2023 di LiberEtà Toscana)
Sulla gestione dei servizi sanitari si giudicano governi e governatori. La Toscana ha il primato di visite gestite dal sistema pubblico e nel recupero delle liste d’attesa, ma fa i conti con il sottofinanziamento del fondo nazionale che non permette assunzioni di medici e infermieri. Intanto la Regione lancia il suo progetto di telemedicina per i pazienti cronici
Non c’è questione che tenga: è sulla sanità che si giudicano un governo e un governatore. Nessuno può chiamarsi fuori, fatte salve le rispettive competenze. Se un governatore riuscisse a ridurre a zero le liste d’attesa per lui sarebbe il miglior traguardo raggiunto nella sua vita di amministratore pubblico. Quante volte è capitato di dover prenotare al Cup, che so, una radiografia al piede che fa un male boia. Ma la risposta è: tra sei mesi. E allora, chi se lo può permettere si rivolge al privato. Sempre di più. Un titolo apparso sulla Stampa è emblematico: «Sanità, negli ospedali arriva il sorpasso del privato. Business da quasi 63 miliardi all’anno, ormai il settore vale oltre la metà di quello pubblico». Qualche Regione lo fa per scelta politica, Penso alla Lombardia. Ma anche in Toscana, dove la sanità pubblica è ancora un fiore all’occhiello con tanto di primi posti occupati nelle varie classifichedi gradimento, l’accesso ai servizi trova ostacoli. Privatizzare però la sanità è anche un rischio per la tenuta sociale del paese. Perché, alla fine, chi non potrà accedere alle varie prestazioni saranno gli ultimi.
In Toscana, pubblico ma non solo. La Regione ci ha fornito i dati sulle prestazioni specialistiche ambulatoriali erogate in Toscana dal 2017 al 2022 sia nelle strutture pubbliche sia in quelle private convenzionate. Negli ultimi cinque anni la sanità pubblica toscana (compresa quella convenzionata) ha erogato quasi cinquanta milioni di prestazioni, per visite ed esami specialistici (visita cardiologica, Tac, risonanza magnetica, elettrocardiogramma, ecografia). Numeri sempre di molto superiori agli otto milioni di prestazioni all’anno. Fa eccezione il 2020 (e un po’ di meno il 2021), ma si sa perché: erano tempi di pandemia. Le prestazioni erogate sono state “solo” 6.734.686. Risulta, in generale, che le visite specialistiche si fanno quasi esclusivamente negli ambulatori pubblici (97 per cento contro il 3 per cento di visite private nel 2022, così dal 2017). Per la diagnostica per immagini e strumentale le percentuali cambiano: il privato convenzionato nel 2022 raggiunge il 22 e il 12 per cento rispettivamente. Significa che per potersi sottoporre a una Tac, a una risonanza magnetica, a un’ecografia, si è costretti a ricorrere con più frequenza a strutture private perché quelle pubbliche «non ce la fanno».
Sanità bloccata. Il Servizio sanitario nazionale è come bloccato. Quasi si stesse portando avanti un disegno per favorire la sanità privata. Nel 2019 il fondo sanitario nazionale rappresentava il 6,4 per cento del prodotto interno lordo. Con la pandemia nel 2020 è salito al 7,4 per cento. Per il 2025 le stime parlano del 6,2 per cento. Un dato al di sotto del 6,5 per cento indicato dall’Ocse. Tra il 2010 e il 2019, governi di vari orientamenti hanno tagliato il fondo sanitario nazionale di circa diciannove miliardi di euro. Meno finanziamenti alla sanità significano meno assunzioni di medici e infermieri, stop a nuove strutture e a nuove attrezzature per la diagnostica. E se il pubblico arretra, il privato è pronto ad approfittarne. La Cgil nel giugno scorso ha organizzato una manifestazione a Roma a difesa del servizio sanitario. Nei consigli regionali il Pd sta presentando una proposta di legge che impone al governo di destinare dal 2025 alla sanità il 7,5 per cento del Pil. Se non interveniamo il sistema sanitario salta in aria. Lo Stato italiano spende 126 miliardi per la sanità, in media 1.947 euro a cittadino. Gli italiani aggiungono di tasca propria altri 41 miliardi per curarsi: 2.200 euro all’anno per famiglia.
Lea e liste d’attesa. La Toscana, nel frattempo è risultata al secondo posto in Italia nella classifica dei Lea, i livelli essenziali di assistenza dopo l’Emilia Romagna. Nel 2022 è stata la prima regione nel recupero delle prestazioni perse nell’anno precedente, ovvero nel secondo anno di pandemia. Significa che con lo stesso personale si fanno più prestazioni di quelle che si facevano prima del Covid. Tra l’altro, la Toscana, una delle regioni più longeve d’Italia, ha un milione e mezzo di cronici che richiedono una quantità più elevata di protezioni. Il problema non risolto rimane sempre lo stesso: l’accesso a una serie di esami. Ultimamente dal Cup si è passati al Cup on line per la prenotazione delle visite specialistiche e le prestazioni di diagnostica strumentale accompagnato da altre misure organizzative. La situazione migliorerà? È presto per dirlo.