Quando il Covid dà le carte. Governo e partecipazione nel metodo Ciampi e nel metodo Covid

La sesta puntata della rubrica Pianeta Terra analizza il rapporto tra le istituzioni e la cittadinanza in tempo di crisi, tra passato e presente. I contributi di Sergio Cofferati e Marco Tognetti.

Ciampi, il ricordo dello statista nel centenario della nascita: gli appuntamenti

Sergio Cofferati

Gli anni 1992 e 1993 furono caratterizzati, nel nostro paese, da una fortissima instabilità politica e da una non meno grave crisi economica. Il 7 febbraio del 1992 i paesi promotori della Comunità europea firmarono a Maastricht un trattato che fissava rigidi vincoli economici e monetari per tutti loro con l’obbligo per di adottare politiche coerenti. Politiche atte a ridurre il debito pubblico e l’inflazione, contemporaneamente bisognava far calare il rapporto deficit\Pil. Erano impegni gravosi per tutti ma erano indispensabili per avere una crescita equilibrata, solida e duratura. Il nostro paese era in recessione, aveva un forte calo occupazionale che lo indeboliva ulteriormente e pagava gli effetti di un debito pubblico altissimo e di una non meno elevata inflazione. Insomma quello che per gli altri era impegnativo per noi appariva drammatico, quasi impossibile. La politica intanto imboccava la strada di una forte e inedita crisi politica con l’aprirsi di Tangentopoli in febbraio e con i risultati negativi per i partiti tradizionali (a partire da quelli di Governo) alle elezioni politiche del mese di Aprile.
In questo quadro esplose la devastante violenza della mafia con l’uccisione a marzo dell’europarlamentare Salvo Lima e in drammatica successione, il 23 maggio e il 19 luglio, quella dei giudici Falcone e Borsellino simboli della lotta contro la criminalità mafiosa. Negli attentati morirono anche la moglie di Falcone e otto uomini delle loro scorte. Il 25 maggio era stato eletto al Quirinale Oscar Luigi Scalfaro che aveva immediatamente affidato il compito di formare il nuovo Governo, con le priorità di affrontare la crisi e la la criminalità, al socialista Giuliano Amato. Il nuovo primo ministro avviò una faticosa trattativa con sindacati ed imprese su provvedimenti duramente restrittivi per i lavoratori e per i ceti più deboli. Il 31 luglio il sindacato firmò un soffertissimo accordo. Era un accordo di puro contenimento, di tagli al welfare e ai salari, inevitabile per evitare il tracollo finanziario. Seguì in autunno una finanziaria enorme, con lo stesso profilo e con tagli al sistema previdenziale per ridurre la spesa pubblica. Nello stesso tempo venne modificato il sistema sanitario con il rafforzamento del suo trasferimento alle Regioni, scelta della quale stiamo drammaticamente pagando il prezzo ancora in questi giorni. L’avviso di garanzia a Craxi per Tangentopoli alla fine del ‘92 e quello ad Andreotti per concorso esterno in associazione mafiosa nella primavera del’93 produssero una crisi politica enorme che portò alle dimissioni del Governo Amato in aprile. Oscar Luigi Scalfaro ebbe a quel punto la lungimiranza e il coraggio di dare l’incarico di formare il nuovo Governo a Carlo Azeglio Ciampi. E il miracolo si realizzò. Il nuovo Governo, formato quasi esclusivamente da tecnici, affrontò la situazione drammatica di quel momento avviando un confronto con le imprese e i sindacati sulla politica economica, su quella sociale e sulle regole delle relazioni contrattuali. Presero corpo cosi i progetti della politica dei redditi per ridurre l’inflazione e difendere i salari e quello della concertazione per fissare le modalità di confronto preventivo tra le parti sociali sui temi di loro competenza e tra loro insieme e il Governo sulle politiche economiche e sociali di carattere generale. Queste modalità di relazioni avrebbero consentito di rispettare i vincoli di Maastricht, di ridurre la conflittualità e di entrare così nel sistema della moneta unica europea insieme agli altri firmatari. Paul Ginsborg nel 1998 scrisse nel suo libro “L’Italia del tempo presente”: la pace sociale che derivò da questa lungimirante riforma sarebbe stata di fondamentale importanza per la ripresa economica del Paese.
La crisi economica di quegli anni aveva molti punti in comune per dimensioni ed effetti con quella che si sta concretizzando ora. Certo sono anche moltissime le differenze, a cominciare dalla pandemia che l’ha innescata per arrivare all’area estesissima dei suoi effetti. Anche l’Unione Europea di allora era ben diversa da quella che oggi ha nuove regole ed è disposta ad aiutarci. Tuttavia quel modello di regole e di politiche andrebbe imitato per la forza e gli effetti positivi che produsse. Questa volontà non c’è nelle forze politiche di oggi, e manca anche una figura straordinaria come quella di Carlo Azeglio Ciampi che riuscì in ragione delle sue capacità, del suo coraggio e del credito di cui godeva in Europa a costruire la ripresa.
In ogni caso è necessario provare.
 

Marco Tognetti

Contrariamente a quanto si sarebbe potuto immaginare, il fastidio espresso dal Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani per essere passati in zona rossa non ha sortito il plauso diffuso dei cittadini. Riportiamo alcuni dei tanti messaggi che hanno accompagnato il post del Presidente sulla sua pagina Facebook il 17 Novembre. E ci segnalano 3 cose: 

  1. “Evitiamo di cambiare ogni pochi giorni se non vogliamo essere ridicoli.”
    Quando aumenta l’incertezza i cittadini chiedono stabilità, quasi a prescindere dalla sicurezza che le decisioni siano quelle corrette. Davanti a eventi che superano la normale soglia di tolleranza allo stress, ciò che viene domandato alle Istituzioni è offrire uno scenario, fosse anche artefatto, di chiarezza. Siamo zona rossa? Ok, possiamo lamentarci, possiamo chiudere, possiamo attendere, possiamo approfittarne per fare quella ristrutturazione che attendeva da tempo (come mi racconta un amico architetto che ha visto aumentare le commesse), possiamo anche scendere in piazza e sfogarci in modo incivile. Dobbiamo scegliere, ma sappiamo cosa possiamo fare. Non sapere cosa fare è molto peggio;
  2. “Quando avevano delegato le decisioni alle regioni però vi eravate lamentati che il governo doveva decidere”
    La responsabilità qualcuno deve prendersela. E’ vero, è dura, e il premio e la sanzione sono dati a pari probabilità. Ma davanti ad ogni crisi l’elettore improvvisamente ricorda che se di democrazia rappresentativa si tratta quello è il momento di dimostrare che a qualcosa serve. Siamo tutto sommato un Paese piccolo, per superfice comparati agli Stati Uniti copriremmo soltanto l’Arizona. Attenzione, la richiesta dell’“uomo forte” è il risultato finale dell’esasperazione di questo e del punto precedente, che si rafforzano davanti alla mancata convergenza tra i livelli dello Stato;
  3. Ma pensare a gestire meglio i trasporti affinché a febbraio non si torni “rossi”, no eh?”
    Se c’è una cosa che abbiamo imparato, è che sperare che la seconda ondata non si verificasse non era una grande strategia. Possiamo avere la certezza assoluta che un’estate con più rigore sarebbe stata accolta con enorme fastidio, una pioggia di critiche, e che ora col senno di poi siamo tutti allenatori della Nazionale. Ma lo Stato è, per l’appunto, l’allenatore nazionale, e per quanto sia complesso sì, ci aspettiamo che prenda scelte impopolari come tenerci in panchina un mese in più se questo significa poter finalmente ripartire a giocare.

Non c’è un Paese “occidentale” che possa essere preso ad esempio di perfetta gestione di questa crisi. Solo la Cina sembra essersi liberata davvero del Covid. Quindi democrazia e gestione della crisi sono incompatibili? Per quanto io ami la Cina, preferirei la risposta fosse no.

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