Pianeta Terra 2. Un modello nuovo e una nuova scala dei valori.

Facendo seguito al confronto tra Sergio Cofferati e Marco Tognetti per la seconda puntata della rubrica Pianeta Terra, pubblichiamo il contributo di Franco Lucchesi*.


Franco Lucchesi

Ricostruire sulle macerie di un mondo che fu significa rimpiangerlo. Quindi, dare un giudizio di valore positivo su quel mondo, rivolerlo e impegnarsi a rifarlo. Ma così non è perché quel mondo, pur con i suoi tanti successi da presentare, vedeva gli stessi successi sovrastati da ingiustizie, egoismi, valori sovvertiti, distruzione dello stesso habitat in cui era prosperato.

Una domanda di cambiamento già emergeva prima che il virus si manifestasse, ma non riusciva ad affermarsi per paura di un nuovo che non si conosceva e per non rischiare di cadere dalla padella nella brace. Paradossalmente, la pandemia ha buttato in faccia a tutti i limiti e le criticità di quel mondo ed ha imposto comportamenti che ne chiedono uno nuovo, profondamente diverso.

Il non saper declinare questa diversità è il vero limite della classe politica attuale e la grande incognita che rende critico il domani di questa nostra Italia. È così anche per il settore dell’assistenza agli anziani, con il tributo angosciante di vite umane che sono state sacrificate su un modello che, al di là e prima degli errori e delle sottovalutazioni, doveva già essere messo radicalmente in discussione. Perché, per dirla con Papa Francesco, era il mondo dello scarto. Uno scarto spesso anche sofferto ma imposto dalla società della fretta, della competizione, dell’efficienza, degli egoismi.

Una società con priorità inconciliabili, con la cattiva salute, con la perdita di memoria, con l’impossibilità a muoversi. Soprattutto una società che lasciava sole le famiglie di fronte ai drammi di una convivenza difficile e bisognosa di competenze specifiche per trattenere i propri vecchi.

Da qui il prosperare delle Residenze per anziani, soprattutto per i non autosufficienti.

Una risposta valida e – quando ben regolamentata da norme e controlli –  pure efficace, perché comunque ha assolto ad un compito socialmente utile. Ma quando generalizzata, quando divenuta l’obbligata conclusione di una vita, ha finito con l’essere la negazione del rispetto del proprio mondo cui ogni persona ha diritto perché parte del suo essere. Uno strappo difficile da sostenere per chiunque, come questa forzata clausura da pandemia ci sta dimostrando. Ma uno strappo drammatico per chi è vecchio e deve già affrontare le limitazioni dell’età e spesso anche della malattia.

Il problema, dunque, non è tanto quello in cui ci si sta confrontando circa la natura giuridica dei soggetti che debbono gestire le RSA, se pubblica o privata. Porre così il problema è ricostruire sulle macerie, indipendentemente dalla risposta che si dà al dilemma.

Il problema è invece quello di rivedere l’intero modello di approccio al mondo degli anziani, particolarmente per i non autosufficienti. Un modello che metta al centro la persona dell’anziano con tutti i suoi affetti, le sue relazioni, le sue abitudini, il suo mondo e tenda il più possibile a preservarlo.

E quindi un modello che ripensi i luoghi stessi in cui questo mondo si è formato, li renda disponibili all’accoglienza di una diversità in fieri, li costruisca attorno a servizi di prossimità destinati alle comunità di un’area a dimensione umana, supporti le famiglie garantendo loro quanto necessario per non disperdere quel patrimonio di relazioni, di esperienza, di memoria, di affettività che l’anziano si porta dietro e che costituisce spesso la matrice identitaria della stessa famiglia, importante soprattutto per essere trasmessa alle giovani generazioni.

Le città stesse, dunque, devono dare la prima risposta al problema degli anziani, ripensandosi e rimodellandosi a misura. E poi, a seguire, un sistema di servizi di assistenza, sia di prossimità che domiciliare, che risponda sul posto almeno fino a quando permane un vincolo di relazione e di affetti che giustifichi la permanenza dell’anziano nel suo ambiente di vita. Solo quando questo vincolo venga meno o quando le condizioni di salute dell’anziano giungano ad un livello di criticità da legittimare continuità di assistenza a livello specialistico, solo allora si potrà procedere al ricovero in strutture adatte ad accogliere e fronteggiare solitudine e criticità. E se pubbliche o private, poco importa, sempre che gli standard ed i protocolli siano ben delineati ed i controlli siano frequenti e profondi.

È evidente che si tratta di un modello con costi di gestione molto elevati. Ma la domanda, a quel punto, esula dalla settorialità dell’assistenza per tornare a quella più generale e radicale da cui siamo partiti: il Paese vuole veramente cambiare? Ed è veramente disposto a cambiare la scala dei valori a cui parametrare tutte le azioni di questa attesa ricostruzione?

 

(*Franco Lucchesi: Avvocato in pensione. Già Presidente dell’Automobile Club d’Italia, Deputy President della FIA_Federatione Internationale de l’Automobile, Presidente dell’Opera del Duomo di Firenze. Attualmente Presidente di un complesso socio assistenziale con 150 ospiti in RSA, RA ed RSD.)

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