Perché parlare di aree interne?

Le criticità di chi vive nelle aree interne, ma anche le potenzialità di territori troppo spesso “dimenticati”. Un tema di stretta attualità che è al centro delle numerose feste di LiberEtà in corso in tutta la Toscana. Se ne è parlato ad esempio durante gli ultimi eventi organizzati dalle Leghe dello Spi Cgil a Marradi, in Lunigiana, sulla Montagna Pistoiese, a Prato e se ne parlerà tra qualche giorno anche in Casentino. Proprio sull’argomento dello sviluppo delle aree interne pubblichiamo l’approfondimento curato da Stefano Casini Benvenuti, che per lo Spi Cgil Toscana si occupa del progetto governance, di partecipazione sociale e istituzionale.

Da un po’ di tempo si parla con una certa insistenza di aree interne. Merito dell’ex ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca che nel 2013 promosse la Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI). L’iniziativa intendeva mettere l’attenzione sul fatto che, tra le tante disuguaglianze che caratterizzano il nostro paese, ve ne sono alcune che dipendono dai luoghi di vita delle persone: non solo quelle, ben note, tra nord e sud del paese, ma anche quelle tra chi vive in città o -appunto– in un’area interna.

Per aree interne si intendono quei comuni particolarmente distanti da alcuni servizi fondamentali (sanità, scuola, trasporto pubblico), talmente distanti da limitare le opportunità delle persone che vivono al loro interno, spingendole spesso ad abbandonare la propria residenza per andare a vivere in posti meno disagevoli.

Prendendo a riferimento i 7903 comuni italiani ISTAT individua innanzitutto i Poli ovvero quei comuni (o aggregati di comuni confinanti) che ospitano simultaneamente il servizio scolastico secondario, quello sanitario (con ospedali sede di Dipartimento di Emergenza Accettazione di I Livello) e stazioni ferroviarie (di tipo Platinum, Gold o Silver). Successivamente, sulla base dei tempi per raggiungerli, individua prima i comuni “cintura” e poi, man mano che la distanza aumenta ,i comuni “area interna” (d’ora in avanti Comuni Interni) a loro volta suddivisi in intermedi, aree periferiche ed aree ultra periferiche.

Sulla base di questa classificazione nei Comuni Interni vive in una superficie che copre quasi il 60% dell’intera superficie nazionale- poco meno del 23% della popolazione del paese. In Toscana la presenza di questi comuni è ancora più alta, sia in termini demografici (quasi un quarto della popolazione regionale) che di superficie (i due terzi del territorio).Tabella aree interne Italia Toscana

La maggiore difficoltà di vivere in queste aree deriva sia dal più difficile accesso ad alcuni servizi, sia dalle minori opportunità di lavoro: la conseguenza è il graduale abbandono dell’area, specialmente da parte dei più giovani, lasciando parte del territorio incustodito. L’invecchiamento è uno dei caratteri dominanti di tali aree con tutti i problemi che si porta dietro(si pensi alle esigenze di assistenza sociosanitaria).

Così descritta, l’immagine che emerge delle aree interne è quella di aree marginali, poco produttive, in cui si pone al massimo l’esigenza di evitare un eccessivo decadimento delle condizioni di vita persone che ci vivono, magari nel tentativo di conservare l’immagine romantica dei luoghi del passato (i borghi tanto declamati e che molto contribuiscono a forgiare l’immagine del paese nel mondo). Lo sviluppo economico, secondo tale rappresentazione, risiede altrove; sta nelle città in quanto è nelle città che si lavora e si produce PIL. Del resto, le cosiddette “economie di agglomerazione” – la base principale della competitività nell’economia moderna – stanno, per forza di cose, nelle città o nei loro dintorni. Di qui la marginalità dal punto di vista economico delle aree interne.

Ma se la visione dello sviluppo prossimo venturo stesse cambiando perché alla capacità di produrre PIL, si affianca anche quella di fornire un contributo alla qualità dell’ambiente allora è possibile che cambi anche il ruolo degli stessi protagonisti dello sviluppo (persone, imprese, territori) e potrebbe anche accadere che quelli che nella precedente fase erano marginali possono esserlo assai meno in questa nuova fase.

Così, se da un lato i processi di digitalizzazione attenuano il ruolo limitante della distanza e se la transizione ambientale richiede una più attenta cura del territorio, allora le aree interne possono tornare ad assumere un ruolo ben più importante di quello assunto sinora. Da un lato, perché con la digitalizzazione alcuni servizi possono essere accessibili anche da remoto; dall’altro, perché in queste aree possono crearsi nuove possibilità di lavoro data l’abbondanza di alcuni fattori produttivi meno strategici nel recente passato, ma che possono essere oggi di nuovo centrali, creando condizioni localizzative favorevoli alla nascita di nuove imprese. Detto in altri termini se, da un lato, le economie di agglomerazione possono perdere parte della loro forza a seguito dei processi di digitalizzazione, dall’altro, l’abbondanza di terra, acqua e anche energia (maggiormente presenti nelle aree interne) potrebbe tornare ad essere strategica per alcune attività produttive: per il turismo, per l’agricoltura, ma anche per la stessa manifattura.

Consapevole di tale potenziale la Regione Toscana ha deliberato di destinare il 30% delle risorse dei fondi strutturali (quindi circa un miliardo di euro) ai 164 comuni interni. All’interno di questa dotazione una quota di risorse (al momento circa 100 milioni, ma mancano ancora le risorse del FEASR) viene destinata ad una parte di tali comuni (112) collocati all’interno delle 6 aree interne della SNAI (3 nell’Appennino e altre 3 nel sud della regione).

Quindi la SNAI assorbe solo una parte del complesso delle risorse destinate ai Comuni Interni e si rivolge solo ad una parte di essi, imponendo come condizione per il loro utilizzo, la definizione di una strategia comune d’area i cui protagonisti siano non solo le amministrazioni pubbliche, ma anche le imprese e le parti sociali perché, se si vuole porre freno al processo di abbandono delle aree interne, non basta garantire un migliore accesso ai servizi ai residenti, ma è necessario che vi siano anche nuove possibilità di lavoro in grado di trattenere e in alcuni casi attrarre anche le nuove generazioni.

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