Mario Fabiani | Il sindaco del popolo

(dal numero di giugno 2024 di LiberEtà Toscana)

Guidò Firenze subito dopo la guerra. Ex partigiano, era riconosciuto dai cittadini come un uomo vicino ai bisogni delle persone comuni

Mario Fabiani, antifascista, dirigente di primo piano della Resistenza in Toscana, politico e amministratore fu sindaco di Firenze dal 1946 al 1951. Prima di La Pira. È stato il sindaco della ricostruzione della città ferita dalla guerra, del suo patrimonio culturale e artistico, a lui si deve, tra l’altro, la nascita delle farmacie comunali e della centrale del latte. A lui si deve anche la creazione del quartiere dell’Isolotto, sorto per far fronte alla grave carenza di abitazioni. Sconfitto da La Pira nel 1951 diventò presidente della Provincia di Firenze (dal 1951 al 1962). Terminò la carriera politica da senatore della Repubblica (dal 1963 al 1974). A cinquant’anni dalla scomparsa è stato ricordato con un convegno organizzato dall’Istituto Gramsci toscano e dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea, con il patrocinio della Regione Toscana e dei Comuni di Firenze e di Empoli (dove era nato nel 1912). A Simonetta Soldani, già docente di storia contemporanea all’università di Firenze e nel 2011 grande ufficiale della Repubblica italiana per i suoi studi sulla storia di genere, è stata affidata la relazione introduttiva.

Professoressa Soldani, sarebbe sufficiente
la poesia che nel 1951 gli dedicò Pablo Neruda per poter esprimere a cinquant’anni dalla scomparsa un giudizio esaustivo su Mario Fabiani. Partigiano, dirigente del Pci, sindaco di Firenze, presidente della Provincia, senatore. Neruda celebrava la sua figura con questi versi: «La maestà del popolo governava».
«Firenze, dall’unità d’Italia in poi, ha di fatto sempre avuto dei nobili a capo della città. È sempre stata una città di destra, molto aristocratica e conservatrice, legata a una modalità preborghese. Forse oggi questa caratteristica appare meno chiara, anche perché dal 1975 in poi Firenze è sempre stata amministrata da maggioranze, più o meno, di centrosinistra.
Ma tra il 1860 e il 1946, fuorché in due occasioni in cui a ricoprire la carica di sindaco furono un grande medico e un grande avvocato, Palazzo Vecchio è stato sempre e soltanto occupato da nobili, da persone dell’aristocrazia. Fabiani sindaco fu una novità molto significativa, che la sintesi di Neruda coglie in pieno, con la forza della poesia, questo elemento straordinario di novità. Fabiani rappresentò davvero una grande svolta di classe. Lo ricordo bene, le persone dicevano: “Voto Fabiani perché è del popolo”».

Oltre che rappresentante del popolo,
quali altre capacità hanno caratterizzato il suo operato?
«Firenze dopo la guerra era a pezzi: bisognava ricostruirla, serviva l’aiuto non di pochi. Fabiani ebbe il merito di governare il processo di ricostruzione rendendo Firenze di nuovo la grande città culla dell’arte, senza farsi intimidire troppo da questa storia straordinaria. In questo fu capace di presentarsi insieme come uomo del popolo ma anche erede degno di una grande tradizione».

Nelle elezioni comunali del 1951
Fabiani fu sconfitto da Giorgio La Pira, un comunista e un democristiano che riuscirono a lavorare insieme per il bene della città.
«Nonostante fosse presidente dell’amministrazione provinciale, Fabiani restò sempre consigliere comunale a Palazzo Vecchio. Nel corso dei difficilissimi anni Cinquanta riesce a costruire un dialogo, basato sul rispetto reciproco e su forme di collaborazione indiretta, con La Pira, a partire dalla grande vicenda del Pignone. È un momento di svolta: da una parte Fabiani che, come presidente della Provincia, mobilita tutti i comuni della cintura fiorentina e, dall’altra, La Pira che riesce a coinvolgere il papa, Fanfani e, soprattutto, a convincere Mattei a rilevare la grande fabbrica».

Firenze è universalmente conosciuta
come la città del sindaco Giorgio La Pira, ma è stata anche la città del sindaco Mario Fabiani.
«Vero. A Firenze sembra che ci sia statosoltanto La Pira, mentre è importante che si sia ricordato anche Fabiani. Pur nella differenza assoluta, tra i due c’era rispetto e la sensazione di voler lavorare non per piccole elite ma per le masse popolari di Firenze. Due persone intellettualmente oneste e quindi capaci anche di collaborare».

Poi Fabiani, eletto senatore, fu come
messo da parte perché considerato un uomo del passato.
«Fabiani da presidente della Provincia lavorò molto per rafforzare l’ente, per renderlo un’istituzione popolare, ma anche per preparare l’avvento della Regione. L’anno cruciale, da questo punto di vista, è il 1962. Lui è ancora presidente della Provincia quando lo fanno dimettere un anno prima della fine del mandato per farlo eleggere in Senato. «Per andarsi a riposare», commenterà lui stesso! Giustamente si tende a valorizzare l’importanza dell’opera di Fabiani come sindaco di Firenze; ma è molto importante anche quello che ha fatto nella costruzione della Provincia di Firenze e non tanto per il lavoro in sé, quanto per la capacità di anticipare una politica regionale in una fase in cui il Partito comunista italiano era ancora molto diviso sulla nascita delle Regioni. C’era una difficoltà da parte del Pci di proiettarsi sul versante del regionalismo, per paura che ciò mandasse in crisi l’unità del paese».

Fabiani non risparmiava giudizi critici
sull’Unione sovietica.
«Fabiani fu profondamente riformatore, ma anche un grande critico dell’Unione sovietica. “Non piangete, è morto un dittatore”, disse a proposito della morte di Stalin. Per dire quanto fosse un uomo che pensava con la propria testa. Era una persona organicamente legata a una concezione di progresso lineare all’interno delle istituzioni democratiche.
Credo che vada rivendicata questa sua posizione molto netta, contro ogni scorciatoia antidemocratica. Una via democratica al socialismo va vissuta dall’interno con grande fermezza, non con spirito remissivo ma di innovazione continua».

Quanto questo “uomo del passato”
parla ancora al presente?
«Il suo pensiero è ancora attuale: non va perso quel rapporto tra una democrazia progressiva e le istanze sociali che sono al centro delle sue scelte politiche e istituzionali. Di Fabiani resta questa attenzione continua al colloquio su punti concreti, non tanto sui grandi princìpi quanto sul senso delle scelte amministrative e politiche da compiersi. Questo dialogo, questa capacità di ascolto non è passività, ma un tentativo di arricchire con altri punti di vista il proprio, con la forte presenza di un proprio punto di vista, di un proprio asse politico, istituzionale e sociale. Ecco a me questo sembra molto importante anche oggi. In situazioni totalmente mutate, quest’attenzione a un dialogo che parta però da una salda consapevolezza di quelli che sono gli assi fondamentali da realizzare, mi sembra che abbia notevoli convergenze e parli ancora molto anche al presente».

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