Il medico di famiglia

(dal numero di aprile 2025 di Liberetà Toscana)

Un messaggio pubblicitario fatto circolare dal principale sindacato dei dottori di base, riapre la polemica. Per la Cgil, i nuovi assunti devono essere dipendenti pubblici: solo così si mette al primo posto la salute dei cittadini

Pubblicità ingannevole. Qualche settimana fa, i principali quotidiani italiani hanno pubblicato (a pagamento) un comunicato della Fimmg (sindacato dei medici di medicina generale) che dà conto di un loro sondaggio sul gradimento dei cittadini nei confronti dei medici di famiglia. Secondo il sondaggio che il 75 per cento degli intervistati (chi?, dove?, quando?) esprime soddisfazione per i medici di famiglia. Basterebbe farsi un giro negli studi
dei pochi rimasti, con sempre più pazienti (in alcuni casi anche 1.800), per rendersi conto di quanto sia tutt’altro che veritiero questo sondaggio. La soddisfazione cala al 59 per cento per quanto riguarda i pronto soccorso e addirittura al 55 per cento per le Asl. Un sondaggio ambiguo che ha lo scopo di buttare polvere negli occhi dei cittadini.

Una campagna sbagliata.
Un’operazione di marketing che non nasce a caso, ma che è stata realizzata per contestare l’ipotesi del passaggio dei medici di base alle dipendenze del servizio sanitario nazionale. Al contrario di quello che molti pensano, il medico di base oggi non è un dipendente del servizio pubblico, ma un libero professionista pagato dal Ssn, ma che al servizio sanitario può anche dire di no (situazione surreale). Questa campagna non è buona cosa, non è corretta per come è fatta, ma soprattutto è sbagliata nel merito. Qui non si tratta di mettere in crisi il rapporto di fiducia che esiste fra il medico e il paziente, o il diritto alla cura. Qui si tratta di garantire il diritto alla salute dei cittadini che, per come stanno le cose oggi, passa sempre più in secondo piano.

Cosa fare. Per non mettere a rischio il diritto alla cura si dovrebbero risolvere i seguenti problemi:innanzitutto i medici di famiglia non dovrebbero più avere in carico 1.500 o addirittura 1.800 pazienti, troppi per essere seguiti come si deve, senza parlare delle file interminabili agli ambulatori. Poi, quando un medico va in pensione, non dovrebbero passare mesi per avere una sostituzione stabile. I medici dovrebbero ricominciare a fare le visite a casa dei pazienti, quando questo necessita, così come si faceva una volta. Dovrebbero andare a coprire i posti scoperti nelle aree interne o nei quartieri “difficili”, senza la possibilità di rifiutarsi con giustificazioni varie: fino a oggi, non sembra interessi molto che intere aree siano rimaste senza medico di base (o pediatra) e che i pazienti siano stati costretti a percorrere anche fino a trenta chilometri per trovare il medico di famiglia. Devono infine prestare servizio nelle case di comunità, così da poter esercitare la loro professione insieme a tutti gli altri professionisti della sanità.

Al servizio dei cittadini.
Come chiede da anni la Cgil medici, crediamo che, a partire dalle prossime assunzioni, questi professionisti debbano diventare dipendenti del Servizio sanitario nazionale, così da poter essere utilizzati al meglio e nelle strutture in cui c’è più bisogno. Non si deve mai dimenticare che il diritto alla salute dei cittadini deve prevalere su ogni altro aspetto.

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