Diario delle cento piazze | 4. Qui Prato A inizio novembre già raccolte oltre un migliaio di firme in ospedale

La sanità pubblica cede pezzi ai privati. A Prato alcuni servizi, fino a ieri affidati al personale dell’azienda sanitaria locale, sono ora svolti anche da dipendenti di alcune cooperative, lancia l’allarme Elisabetta Stacchini, della funzione pubblica Cgil. Questo avviene, segnala Stacchini, per il servizio di accoglienza e accettazione del Cup, al piano terra dell’ospedale, così come a medicina nucleare, al pronto soccorso, al centro oncologico. Il personale delle cooperative non prenota visite ed esami per gli utenti, le prenotazioni vengono effettuate da personale dell’Asl. Ma la tendenza ad affidare all’esterno certi servizi è ormai in atto. Avremo presto anche la privatizzazione del Cup?

Proprio per difendere e migliorare la sanità pubblica la Cgil, insieme allo Spi regionale, ha lanciato la petizione con l’obiettivo di raccogliere centomila firme a sostegno della proposta di legge da inviare alle Camere che la Regione Toscana si appresta ad approvare insieme a Emilia Romagna e Puglia. La petizione sta mobilitando migliaia di iscritti del sindacato pensionati della Cgil in tutto il territorio regionale, anche nelle zone più distanti dalle città. A Prato, dove lo Spi Cgil conta 14mila e 500 iscritti, la raccolta delle firme è stata
fatta anche all’ingresso della sede della Camera del lavoro, in piazza Mercatale. Tanti, prima di entrare per ricevere uno dei tanti servizi offerti dalla Camera del lavoro, si fermano a firmare.

Gli anziani sono quelli che hanno più bisogno di aiuto per riuscire ad accedere ai servizi sanitari. La difficoltà di accesso ai servizi è uno degli ostacoli più frequenti da superare. «È anche e soprattutto a loro, agli anziani, che con le nostre Botteghe della salute cerchiamo di offrire un sostegno importante. Qui a Prato abbiamo una Bottega della salute in ogni nostra sede dello Spi – dice Saverio Viola, una delle colonne del sindacato pensionati Cgil pratese – Possiamo aiutare le persone ad attivare la tessera sanitaria, a prenotare una visita specialistica o un esame, a richiedere lo Spid, ad avere informazioni sui servizi sociali del comune, a cambiare il medico di famiglia, a consultare il fascicolo sanitario. Siamo orgogliosi di offrire questo servizio a fianco dei più deboli» aggiunge Viola mentre consegna dei volantini per la raccolta delle firme. C’è un dato che dovrebbe far riflettere nella campagna messa in campo dallo Spi pratese per salvare la sanità pubblica. All’inizio di novembre erano già state raccolte oltre un migliaio di firme in ospedale. Un segnale e allo stesso tempo un campanello di allarme: chi lavora in ospedale avverte con forza il rischio che la sanità pubblica si stia sfaldando, stia cedendo il passo a quella privata. Al banco dello Spi in piazza Mercatale c’è anche Lidia: «È importante questa battaglia – dice – perché ormai vediamo con chiarezza il tentativo in atto di smantellare il servizio pubblico».

«Il processo di privatizzazione dei servizi è già in atto da tempo, purtroppo» sottolinea Elisabetta Stacchini mentre firma la petizione. Le liste di attesa in crescita spingono chi può permetterselo a rivolgersi a strutture private. Ma anche all’interno del sistema pubblico di fatto viene tradito il principio sancito dalla Costituzione con l’articolo 32, in base al quale «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…». E allora perché, all’interno di un ospedale pubblico, di una struttura sanitaria pubblica, deve esistere il doppio canale di accesso alle prestazioni? Chi ha l’impegnativa del medico di famiglia deve aspettare mesi e mesi per avere una visita specialistica, chi invece si rivolge all’intramoenia ottiene quella visita, dallo stesso medico specialista, in pochi giorni, perché può permettersi di pagare. Anche nella sanità pubblica quindi sono già previste due porte cui bussare, una per chi può e una per chi non può pagare. «Anche ammesso che chi è ricco debba avere il diritto di accorciare il tempo della cura pagandosi il servizio, questo almeno non dovrebbe avvenire all’interno di un ospedale pubblico, ma semmai in una struttura davvero per intero privata» riflette – forse non a torto – un pensionato davanti al banco dello Spi. La sanità pubblica si indebolisce anche perché, a differenza che in passato, oggi sono sempre più numerosi
medici e infermieri che si licenziano per andare a lavorare in strutture private. «Anche qui a Prato – dice Elisabetta Stacchini – sempre più spesso per la carenza di personale medici e infermieri devono farsi carico di ritmi di lavoro insostenibili».

Si ferma a firmare Angela, settant’anni: «La sanità pubblica? Certo che firmo per difenderla. A Montemurlo, dove abito, da un anno e mezzo non c’è più neanche il medico sulle ambulanze del 118». Poi c’è il problema delle Rsa, che a Prato «hanno costi esorbitanti – dice Luciano Lacaria, segretario dello Spi pratese – basta varcare il confine provinciale e si spende meno. Ci sono persone che sono andate nelle Marche, perché là si spende anche il 50 per cento in meno». C’è chi ha dovuto ipotecare anche la casa per potersi permettere un ricovero in una Rsa e banche e assicurazioni hanno già fiutato l’affare, aveva avvertito il segretario nazionale dello Spi Cgil, Ivan Pedretti, in un recente incontro a Olmi di Quarrata, organizzato proprio dallo Spi di Prato con quello di Pistoia. L’obiettivo, un giorno che verrà, sarebbe quello di poter assistere gli anziani non autosufficienti a casa loro. «Ma esiste per caso un servizio domiciliare per gli anziani non autosufficienti?», chiede ironico un pensionato.

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