Alzheimer “Noi familiari lasciati soli con la malattia”

(dal numero di settembre 2024 di Liberetà Toscana)

Due donne testimoniano il rapporto con la patologia che ha colpito i loro cari. «Lo Stato? Molta burocrazia, poca concretezza», dicono

Anna Sebastio e Anna Bellini hanno in comune il nome e la vallata, la Valdichiana, nella quale vivono. Ma, soprattutto, la malattia che le ha rese vedove: l’Alzheimer. «È un viaggio
all’inferno», Bellini non ha dubbi. Nemmeno Sebastio che questo viaggio lo ha fatto due volte: prima con la mamma e poi con il marito. Fanno fatica a raccontare, il dolore è rimasto lì. Non così le lacrime che scendono al ricordo. «La malattia della mamma è durata vent’anni – ricorda Anna Sebastio –. La fase acuta è stata più difficile di quella di Bruno, mio marito. Lei è deceduta nel 2018, dopo poche settimane lui ha iniziato a manifestare
i primi sintomi della malattia. Se ne è accorto guardando la sua collezione di monete: a un certo punto non riusciva più a distinguere l’euro dalla lira». «Un giorno – continua – uscì di casa dicendomi che scendeva a lavare l’auto. Invece salì in macchina e andò, inconsapevole, dal benzinaio. Chiamai mia figlia che lo riaccompagnò a casa e lui mi disse che non avrebbe più ripreso l’auto. Nel 2023 facemmo una visita specialistica e lui si innervosì per l’attesa imprevista. Uscì dall’ambulatorio e telefonai a mio nipote per farmi aiutare a riportarlo a casa. Da quel giorno Bruno non fu più lo stesso».

All’ospedale della Fratta
, la neurologa disse che lui era ormai consapevole di aver perduto la sua realtà. «Guardai negli occhi mio marito e vidi uno sguardo che continuo a portare nel cuore: senza parole ma con amore e tenerezza mi diceva che mi voleva portare con lui. Non sapeva dove, ma dovevamo andarci insieme. Nei momenti di lucidità mi raccontava di sentirsi “incapace”». Bruno era stato un falegname, un uomo meticoloso e preciso. Adesso era come sperduto: talvolta prendeva uno straccio e lo passava sui mobili come quando, con la carta vetrata, lavorava sul legno. È stato ricoverato in una Rsa con posti per malati di Alzheimer. «Sono stata sempre con lui, – prosegue Sebastio – ogni minuto. Fino a quando si è spento dopo un periodo acuto della malattia che è durato un paio di mesi in tutto. Pesava trenta chili ma, nonostante ciò, ha avuto il cuore rivolto al Signore. L’Alzheimer può togliere la parola, ma non la fede in Dio».

La storia di Anna Bellini
non è molto diversa. «Mio marito è morto nel 2023, dopo sette anni. All’inizio non voleva credere alla malattia. La ricetta per una visita neurologica è rimasta sopra il mobile per mesi: aveva paura che gli togliessero la patente. Stava bene. Aveva avuto una tabaccheria a Foiano e, quando era andato in pensione, preparava una lista della spesa. Un giorno si accorse che non era più in grado di leggere e di scrivere. A luglio dovevamo andare al mare ma la mattina, quando si svegliò, disse che aveva avuto un incubo. Da quel giorno iniziammo una serie di esami e visite. La situazione cominciò a peggiorare: non riusciva ad allacciarsi le scarpe né ad abbottonarsi la camicia. Questo lo faceva arrabbiare ed era un atteggiamento nuovo per lui. Con il passare del tempo mi diceva che si sentiva come una pila che si stava scaricando. Passò la visita perché io potessi avere la 104 e quando uscì mi disse che non avrebbe più avuto la patente: “Non ho risposto bene alle domande”. Lo scorso anno, a 71 anni, una polmonite me l’ha
portato via».

Le storie di Anna e Anna sono fatte di coraggio e di amore. Ma anche di solitudine. «Gli amici si dividono tra quelli che rimangono e quelli che scompaiono, e questi ultimi sono di più». Il sistema pubblico aiuta poco: «Molta burocrazia, poca concretezza». Chi ha figli, è fortunato ma anche questi hanno difficoltà a misurarsi con una malattia che rende i loro genitori irriconoscibili. L’Aima, l’Associazione dei malati di Alzheimer, rimane un punto di riferimento. Ma la battaglia delle famiglie contro questa malattia viene ancora, in gran parte, combattuta in solitudine.

Sommario

Recenti