“50 anni fa lo Statuto dei Lavoratori. Celebrarlo forse non basta?”
Il contributo di Franca Alacevich*
Sono passati 50 anni da quando lo Statuto dei lavoratori è stato approvato. In questi 50 anni molto, moltissimo, è cambiato nel mondo del lavoro e ci si chiede se lo Statuto non abbia perso significato, non sia più adeguato rispetto ai nuovi bisogni.
Certo, il sindacato si è indebolito perché il lavoro si è frammentato e perché il suo ruolo è stato sempre meno riconosciuto. Certo, il sistema economico-produttivo e l’organizzazione del lavoro sono molto cambiati, con l’introduzione di nuove e sempre più sofisticate tecnologie e della digitalizzazione, la finanziarizzazione dell’economia, la velocità di comunicazione che rende il mondo sempre più “piatto”. Certo, il sistema sociale è attraversato da crisi frequenti, che pongono sfide inaspettate: la crisi ambientale con le ricorrenti catastrofi che porta con sé; la crisi finanziaria; la crisi sanitaria del Coronavirus che aveva precedenti come l’Hiv, l’Ebola; e la gravissima crisi sociale con le nuove povertà sempre più estese.
Lo Statuto dovrà essere in parte rivisto – lo pensavano anche i suoi estensori – ma su tre aspetti conserva fresca e intatta la sua grande forza “promotrice”.
(i) Il primo aspetto è quello della promozione e del sostegno alle organizzazioni collettive di rappresentanza degli interessi. Anche un mondo del lavoro cambiato profondamente e frammentato ha bisogno di rappresentanze collettive. Altrimenti, la asimmetria del potere giocherà a sfavore dei lavoratori. Forse i sindacati devono cambiare – lo sanno bene, anche se non hanno ancora trovato soluzioni efficaci. Forse nuove forme di aggregazione stanno nascendo. Ma, come insegna lo Statuto, è necessaria un’azione di promozione e sostegno da parte della normativa e di chi governa.
(ii) Il secondo aspetto riguarda la partecipazione dei lavoratori, organizzati, nella presa di decisioni che riguardano il lavoro, le strategie aziendali, l’organizzazione del lavoro. È paradossale che proprio ora che il mondo della produzione chiede sempre più coinvolgimento fattivo dei lavoratori non si tenga in sufficiente considerazione questo aspetto. Ci sono aziende che individualmente praticano forme di condivisione delle decisioni, ma non vi è adeguata attenzione da parte della politica, del sistema normativo, ma anche delle aziende e a volte dei sindacati stessi, volta a promuovere e sostenere, e diffondere, queste pratiche. Eppure durante la pandemia abbiamo molti esempi di gestione partecipata delle chiusure e delle riaperture delle attività, come dell’organizzazione del lavoro nelle attività di interesse generale che sono restate sempre aperte.
(iii) Il terzo aspetto sta nella gestazione dello Statuto. Un ministro socialista, Giacomo Brodolini, e un ministro democristiano, Carlo Donat-Cattin, si avvicendano al Ministero del lavoro perseguendo lo stesso obiettivo, in continuità: varare lo Statuto dei lavoratori. La continuità nell’azione di governo di personalità di diversa provenienza politica getta luce su come si muovono soggetti politici che guardano più all’interesse generale del paese che al mercato elettorale, più alla sostanza dei provvedimenti che alla differenziazione della propria azione rispetto a quella di chi li ha preceduti. Brodolini forma una Commissione, guidata da Giugni, Donat-Cattin la mantiene al lavoro, e lascia Giugni a presiederla, nonostante non fosse della sua area politica. La Commissione predispone una proposta, anche sulla base di una ampia consultazione, che è poi approvata dal Consiglio dei Ministri. Ma poi la proposta va in Parlamento, e lì viene discussa approfonditamente e largamente modificata.
Dunque, lo Statuto ci parla ancora oggi. Ci parla di un metodo di lavoro efficace. Ci dice come promuovere e sostenere, piuttosto che regolare minutamente, sia efficace perché attiva i soggetti sociali e li rende partecipi e non meri soggetti passivi della normativa. Ci ricorda quanto il ruolo dei corpi intermedi della società sia utile e indispensabile, soprattutto per affrontare le emergenze.
(*Franca Alacevich: Nata a Genova il 14 giugno 1950, risiede a Bagno a Ripoli, insegna Sociologia del lavoro alla Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze)