Viaggio in Patagonia

Una vacanza sognata a lungo nella regione più meridionale dell’America Latina, è l’occasione per una riflessione sul viaggiare in tarda età: le difficoltà ma anche l’opportunità di godersi il tempo senza scadenze e preoccupazioni. Il reportage del nostro inviato tra aeroporti, ghiacciai e città nel deserto

Viaggiare da anziani. Mica facile. Soprattutto se si hanno mete lontane. Le precondizioni: ancora un po’ di salute, “lavoro” da nonni inesistente o ridotto e, soprattutto, una pensione che consenta di mettere qualche soldo da parte. Risolte le questioni centrali, rimangono alcuni dettagli. Lo scontro con la tecnologia: la “disumanizzazione” degli aeroporti sta progressivamente sostituendo persone gentili con macchine sulle quali devi appoggiare – nel modo giusto – il passaporto, che devi fissare per quella che dovrebbe essere una foto e che ti consenta l’apertura del cancellino. La devi fissare togliendoti il cappello, qualche volta gli occhiali. Poi la serie infinita di controlli del bagaglio a mano, della carta d’imbarco e – in alcuni casi – di nuovo del passaporto. Inizia quindi la passeggiata di salute verso il gate (l’imbarco): centinaia di metri se hai fortuna, migliaia se non è la tua giornata. Alla fine guardi le scomode sedie allineate come fossero i divani migliori mai visti. In questo tragitto cerchi i bagni e quindi qualcuno che ti venda un caffè come fosse oro liquido. Infine la visione: un addetto si siede al banco del varco ed è il segnale che i preliminari sono finiti. Si vola. Un attimo, però: l’addetto si siede ma rimane immobile. Passano altri minuti di attesa. Ti metti in fila a seconda delle zone e attendi. Alla fine si decolla.

Nell’attesa ti guardi intorno cercando di capire chi potrà rovinare il tuo sonno durante il volo: persone dalla voce altissima, gruppi che si parlano da una parte all’altra dell’aereo, neonati silenziosi che si preparano all’urlo nel pieno della silenziosa notte aerea, viaggiatori che ti abbattono addosso lo schienale della loro poltrona cinque secondi dopo che le ruote si sono staccate da terra. Volare è anche un gioco di pazienza. Per gli anziani lo è di più. Ultimo brivido il ritiro dei bagagli: mugolii di gioia irrefrenabile accompagnano la visione della valigia che emerge in fondo al nastro trasportatore. Una gioia che può capire solo chi ha visto perdersi il suo bagaglio in aeroporti sbagliati.

Risolti in un pomeriggio e in una notte questi piccoli problemi, sei – nel mio caso – a Buenos Aires. Da qui in Patagonia, nella Terra del fuoco, tra i ghiacciai, insieme a pinguini, balene, guanachi. Insieme anche a una marea montante di turisti di ogni parte del mondo. Questa – penso a Ushuaia – sarà anche la fine del mondo. Ma questa cittadina, nata con il carcere che aveva ospitato oppositori politici e i criminali più pericolosi d’Argentina e poi chiuso nel 1947, vede oggi il suo piccolo porto e le due uniche strade principali affollate di turisti. Lo spettacolo dei ghiacciai è unico. Come lo è quello di pianure sterminate che arrivano all’orizzonte. Niente case, nessun segno lasciato dall’uomo. Foreste integrali dove nulla viene toccato. Strade bianche che le piogge, anche quelle estive, rendono impraticabili. Il vento e il freddo, anche nella stagione migliore, sono compagni inseparabili. Li saluti se viaggi di nuovo verso Buenos Aires dove ritrovi il sole e il tango e diventano un ricordo se arrivi alle cascate di Iguazu, condivise con il Brasile.

La fatica fisica, se hai accumulato qualche anno, la senti. Ma senti anche la voce e le storie di donne e uomini che pensavi diverse da te ma che non lo sono. Il ristoratore ti racconta di come le tasse mangino la metà dei suoi ricavi. Il giovane ti presenta il suo bambino come “mezzo italiano”: il piccolo ha doppia nazionalità e il padre è costretto a lavorare sei mesi in Argentina e sei in Italia. La ragazza del museo ti spiega che fino a un paio di anni fa riusciva ad andare avanti con un solo lavoro e che adesso deve farne due.

Quando mangi al tavolo di un piccolo ristorante nel centro di Buenos Aires, tra negozi eleganti, un adulto si avvicina e ti chiede un pezzo della carne che stai mangiando. Gli dai, con la tua forchetta, quella che è rimasta e rifletti su come la povertà non sia una voce Istat ma una persona in carne e ossa, con la barba lunga, con calzini senza scarpe. Viaggiare aiuta a capire. Senti lontane le inumane sciocchezze sulle identità regionali e nazionali, sulle diversità delle razze. Viaggiare aiuta a capire che è vero che non siamo tutti uguali. La differenza, però, non sta nel Dna ma nel conto in banca. Più passano gli anni e meglio lo si capisce.

(dal numero di febbraio 2025 di LiberEtà Toscana)

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