LE DUE RESISTENZE DEL 25 APRILE

Una generazione sotto tiro.

di Stefano Fabbri

Il sindacato dei pensionati della CGIL della Toscana, lo Spi, ha chiesto di partecipare alla celebrazione del 25 aprile mandando una foto da pubblicare sul web: una delle tante iniziative virtuali in assenza della possibilità di manifestazioni pubbliche. Le centinaia di selfie ricevuti e pubblicati, tuttavia, mostrano non solo un corteo ideale di volti maturi di persone che riconoscono nella Liberazione il dna della propria esistenza, ma soprattutto uno spaccato significativo e commovente di una generazione, in qualche caso di due, che oggi il Covid sembra aver individuato come il proprio nemico numero uno. In quei volti casalinghi, finalmente liberi dalle mascherine, è facile riconoscere quelli di chi, nato negli anni Cinquanta o prima, incontriamo nelle uniformi delle organizzazioni di volontariato, o attivissimi nella fitta rete sociale, associativa e civile che Firenze e tutta la Toscana sono stati capaci di tessere rendendola famosa, o ancora nelle professioni e nelle passioni che hanno praticato durante quella che burocraticamente viene chiamata «vita attiva» e che per loro non ha mai smesso di essere tale. Sono quelli che i sociologi hanno spesso definito, dati alla mano, gli esperti ammortizzatori sociali naturali dei loro figli e nipoti, gli instancabili factotum delle famiglie. Sono i volti di chi, nella stragrande maggioranza, ha conosciuto la Resistenza solo da bambini o attraverso i racconti dei genitori e dei nonni. Adesso, a loro modo, resistono non solo al virus ma anche ad una visione del mondo che, dopo averli celebrati nelle statistiche, oggi dovrebbe farne a meno: prediletti prima da una narrazione per cui si è comunque sempre troppo giovani per andare in pensione se non alla soglia dei 7o anni, oggi da un’epidemia che pretende le loro vite prima delle altre. Così, di fronte all’ipotesi di ritardare per essi l’efficacia di una fase 2 pur delicata e incerta, viene da chiedersi se davvero tale orientamento è dettato dalla premura nel proteggerli o dal tratteggiare un panorama sociale futuro senza la loro presenza, con tutte le conseguenze del caso. Soprattutto in una Toscana dove gli over 65 sono quasi un milione, poco meno di un terzo dei cittadini, e dove gran parte di essi alimenta la vita economica, culturale, sociale e, non ultima, quella che deriva proprio dai valori della Liberazione e della Repubblica che si vogliono resuscitati ed esaltati dalla resistenza alla stagione del Covid. Se davvero ne usciremo migliori serve un nuovo ruolo per loro. Uomini e donne capaci di stare in casa, ma mai di «restare a casa».

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Pubblicato sul Corriere Fiorentino del 26.04.2020

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