PIANETA TERRA 4. Cosa possiamo intravedere dietro la fase due?

La quarta puntata della nostra rubrica ci pone un interrogativo sull’economia post Covid. I primi due contributi a cura di Sergio Cofferati e Marco Tognetti. 

Sergio Cofferati

Gli indicatori economici e sociali indicano le dimensioni della crisi prodotta nel nostro paese, non diversamente che in altri, dalla pandemia. Una crisi molto vasta, certo diversificata, ma che non esclude nessun ceto sociale e nessun settore economico. Le difficoltà in essere sono destinate a crescere perché il morbo rallenta ma non scompare e anche la ripresa annunciata non si concretizzerà a breve e non sarà ovviamente uniforme. Dunque le persone stanno male e non hanno il conforto di un sicuro miglioramento a breve. Penso che di fronte a questo quadro la prima cosa che un Governo deve fare è sostenere chi è in difficoltà in proporzione ai suoi bisogni e alle sue prevedibili condizioni future. Gli italiani sono storicamente dei convinti risparmiatori, le risorse messe da parte nelle condizioni precedenti sono il primo ammortizzatore (privato) che si è automaticamente attivato, ma oltre ad essere diverso da soggetto a soggetto è destinato ad esaurirsi. In ogni caso non può supplire ai doveri dello Stato verso chi soffre. Credo che la priorità assoluta sia questa : aiutare chi non ha un reddito o lo sta perdendo. Per tante ragioni: giustizia sociale, solidarietà, coesione. Bisogna evitare che il bisogno si trasformi in sofferenza e alimenti il conflitto. Il ritardo nell’intervenire verso chi soffre è inaccettabile, bisogna assolutamente evitarlo. Nel frattempo occorre costruire protezioni che durino nel tempo perché la crisi non sarà breve. Tra le altre cose bisogna ricordarsi che garantire normali consumi diviene automaticamente sostegno all’economia e alla produzione in un paese come il nostro con un attività prevalentemente rivolta al mercato interno. Nel tempo della protezione dei cittadini è indispensabile pensare ad avviare interventi volti a cambiare il modello sociale ed economico così pesantemente scossi dalla pandemia. Ritorna fondamentale il vituperato ruolo dello Stato, nel welfare come nell’economia. La struttura sanitaria non è stata adeguata nella crisi nonostante l’eroica prestazione di donne e uomini che ne fanno parte. La cessione di attività di cura e di prevenzione dal pubblico al privato fatta nel passato ha accentuato i danni alle persone. Bisogna ritornare all’antico. Puntando sulla vicinanza, sulla ricerca e sul valore professionale. Nel sistema produttivo è lo Stato che dev e promuovere il cambiamento incentivando conoscenza, ricerca e innovazione sempre rivolte a obiettivi di rigorosa compatibilità con l’ambiente. Non si deve incentivare astrattamente “chi fa”, ma legare il sostegno a “cosa e come si fa”. In settori trainanti e innovativi sia dell’industria che dei servizi è indispensabile la presenza dello Stato nel capitale delle imprese per incentivare il cambiamento insieme all’equilibrio territoriale. Il tutto ovviamente accompagnato da regole che garantiscano la dignità e i diritti di chi lavora. Ma di questo parleremo un’altra volta.    

Marco Tognetti

Non mi sento del tutto all’altezza di esprimere in poche righe di blog-post come spendere le risorse del Recovery Fund che l’Europa mette a disposizione dell’Italia. Stati Generali con una lunga carrellata di rappresentanze illustri, task force con esperti dai curricula più che referenziati e Premi Nobel hanno detto e scritto proposte anche dettagliate…non vorrei aggiungere altre opzioni, la lista già c’è: riforma del fisco, sburocratizzazione, scuola e sanità migliori, digitalizzazione, rigenerazione urbana, rivitalizzazione delle aree interne, sostegno al turismo, ecc. Anche sul fronte delle strategie ci ha già pensato l’Europa: transizione verso la climate neutrality (neutralità climatica) e digitalizzazione sono le leve su cui agire. E per tutti coloro che hanno a cuore lo Stato Sociale e non solo l’Economia di Mercato, già nel 2018 la High-Level Task Force (HLTF) sugli Investimenti nell’infrastruttura sociale europea lanciata dall’ELTI, tra i cui redattori figura Edoardo Reviglio di CdP, ha proposto un vasto set di misure a beneficio della mobilitazione di risorse pubbliche e private a sostegno di scuola, salute e ogni altro intervento mosso all’impatto sociale, utilizzando la leva della finanza d’impatto.
Sperando di non essere velleitario e superficiale, mi piacerebbe provare a condividere una piccola porzione dell’immagine d’Italia in cui vorrei vivere nel 2030 e da lì, a ritroso, chiedere a chi ha il potere e la posizione per decidere di valutare quali delle diverse proposte permettono di arrivare più vicino a questa visione, scegliere quelle e supportarle senza passi indietro per 10 anni.
Nel 2030 in tutte e 10 le città metropolitane vorrei mezzi pubblici che permettano trasporti multimodali, capillari, frequenti ed ecologici mettendo fine alla dipendenza dall’auto in città, con treni che collegano la città con la provincia rafforzati. Vorrei decine di migliaia di scuole, uffici e condomini capaci di consumare meno, di disperdere meno e possibilmente di produrre contestualmente energia. Vorrei istituzioni locali capaci di orientare gli interventi di rigenerazione urbana perché dotati delle risorse economiche che permettono di partecipare attivamente sia agli investimenti che, conseguentemente, ai ricavi. Vorrei che la connessione veloce fosse diffusa come oggi lo è l’acqua corrente e, pertanto, ad un prezzo sensibilmente inferiore all’attuale, permettendo così a molte nuove imprese giovanili di svilupparsi facilmente anche in aree rurali. Vorrei un giardino, grande, in ogni scuola elementare e materna. E vorrei una sanità pubblica e universale ancor più capillare di ora. Lo so, è démodé, ma l’ultima cosa che voglio è vedere le persone morire alle prossime pandemie solo perché non possono pagarsi le cure adatte.

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