Intervista a Giancarlo Gambineri | «Fare i conti con le pensioni del futuro»

(dal numero di maggio 2023 di LiberEtà Toscana)

Da vecchio garibaldino, Giancarlo Gambineri vede nel progetto di autonomia differenziata un pericolo enorme per regioni come la Toscana che rimarrebbero tra quelle a gestione ordinaria. Una secessione dei ricchi che fa il paio con la riforma del fisco ideata dal governo che avvantaggia chi ha di più e può avere effetti pesanti sui servizi pubblici. Confermato alla guida dello Spi Cgil della provincia di Arezzo, Gambineri coordina anche il dipartimento previdenziale dello Spi Cgil Toscana. Parla con cognizione di causa, quando esprime la sua preoccupazione per quelle che saranno le pensioni tra dieci anni. Un problema con cui prima o poi lo Spi Cgil dovrà fare i conti.

Bene, facciamoli i conti.
«Riporto qui l’ultimo caso di cui mi sono occupato: una persona di 52 anni che non può più lavorare alla quale è stata riconosciuta una pensione di invalidità. Ebbene secondo i nostri calcoli, percepirà una pensione di 94 euro al mese. Con il sistema misto, avrebbe percepito 550 euro al mese, ma con il contributivo la realtà cui stiamo andando incontro è questa. Nessun trattamento minimo riconosciuto, si parla di pensione di garanzia, ma va realizzata.
Dopo il congresso Cgil Con la riforma che ha in mente il govenro i conti sono facili: meno tasse, flat tax, meno gettito, e quelli che gioiscono non sono certo quelli che hanno meno risorse».

Anche le pensioni di oggi non sono ricche.
«Va detto però che oggi chi va in pensione ha una base di calcolo che si aggira intorno ai 42-43 anni di contribuiti. Se uno ha avuto la fortuna di avere lavori costanti, allora può godere di una pensione che non è certo di 94 euro. Il problema riguarda chi ha fatto una vita da precario e versa con il contributivo, dove non è prevista al momento nessuna forma di integrazione. Questa situazione pone un problema serio alla nostra organizzazione».

Di che tipo?
«Siamo attrezzati per rappresentare anche queste categorie, ma con il declino degli assegni pensionistici cala anche la nostra forza di rappresentanza. Viviamo di tessere e iscritti e tra una decina d’anni potremmo avere problemi di autofinanziamento: il rischio concreto è che i pensionati del futuro abbiano talmente pochi diritti che non saremo in grado di rappresentarli dal punto di vista sociale, ma solo indirettamente, a livello politico. Prendiamo ad esempio le pensioni civili: perché non possiamo rappresentarle?».

Quale risposta immagini per il sindacato?
«La missione è quella di portare i diritti nei territori, la nostra forza deriva da quello. Mi piace un’espressione del segretario nazionale dello Spi, Ivan Pedretti: dobbiamo essere sindacalisti di strada. Non arroccarci nelle nostre sedi, ma andare incontro alle persone. Gli strumenti digitali sono validi, ma da vecchio sindacalista sono convinto che guardarsi in faccia è insostituibile».

Sanità regionale: il presidente Giani ha ricordato il precario bilancio della Toscana.
«Toscana ed Emilia hanno dimostrato di saper dare una risposta adeguata alla pandemia,
che dall’altro lato ha mostrato i limiti di avere venti sistemi regionali diversi. Se Salvini e compagnia portano fino in fondo la loro idea di autonomia differenziata, rischiamo la fine della nazione, di dire addio a ogni forma di solidarietà. Da iscritto a un’associazione garibaldina, figuriamoci se sono contento. La riforma regionale della sanità approvata a dicembre? Va nella direzione giusta: ad Arezzo, agli ospedali di eccellenza si affiancherebbero gli ospedali e le case di comunità nelle vallate più interne. Ma vedo anche gli ostacoli: se lo Stato non restituisce le risorse che la Toscana ha speso per il Covid e non vara una robusta campagna di assunzioni, avremo le mura delle case di comunità, ma non i medici e gli infermieri necessari per farle funzionare».

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