Gli anziani soli. “Com’è là fuori, com’è Milano?” Le vite di chi prova a farcela

Questo è un articolo buono di cui si sente il respiro, si condivide la condizione.
 

ANZIANI SOLI
“Com’è là fuori, com’è Milano?” Le vite di chi prova a farcela

di BRUNELLA GIOVARA, pubblicato su La Repubblica, 21 marzo 2020

 

MILANO – E «mi godo il sole e il vento, affacciata alla finestra come tutti». E «devo camminare, altrimenti si blocca la spina dorsale». E «resisto finché non arriva la mazzata, perché sono sola e molto acciaccata», quindi resiste, questa signora Rori di 74 anni, sopravvissuta a molte cose, ora aggrappata alla vita oltre che a una finestra dalle parti di piazzale Damiano Chiesa, zona Sempione, vicino alla vecchia Fiera dove stanno giusto provando a costruire un ospedale per il Covid-19. Come lei, molti anziani provano a resistere su questa terra, evitando di leggere i necrologi e talvolta anche di rispondere al telefono, per evitare le brutte notizie che deprimono eppure arrivano lo stesso, chi se ne è andato — per lo più solo — due settimane fa era al bar.

Per sopravvivere, bisogna tapparsi in casa come ha fatto Lorenzo Radice con la madre Lelia e la badante Maureen. Non è il solo ad aver fatto questa scelta, altri figli hanno deciso di organizzarsi così. Altre volte la badante scappa, per paura più che altro, i figli si disperano o si autoesiliano, “la mamma non può stare sola”, le Rsa sono inavvicinabili, non si ricovera più nessuno e molte hanno avuto morti per coronavirus.

Paola, che abita a Seregno con marito e madre di 96 anni: «La mia vita ora è qui dentro, con lei. Non esco più da un mese, prima almeno c’era la passeggiata in carrozzina». Poca roba, però era respirare, vedere il mondo, anche se solo una fettina di Brianza. «Il rischio è troppo alto, può succedere di incontrare qualcuno che voglia anche solo salutarci, nei paesi è così, ci si conosce e ci si ferma a parlare, ma io non posso permettermi che mia madre si ammali. Né voglio che finisca in un ospedale, è troppo fragile, troppo delicata». Né vuole che muoia sola.

Nascono nuove solitudini, come la donna che ogni sera passa a trovare il padre e la madre chiusi nell’appartamento al Gallaratese, appoggia la spesa sullo zerbino, suona il campanello e se ne va, «troppo rischioso il contatto, e sono sicura che mia madre vorrebbe abbracciarmi, ma non si può. Quindi, evito. È doloroso, ma evito». Coppie di anziani, come questa, pur essendo in coppia intristiscono e vanno veloci verso la depressione, che a questa età è una catastrofe. Si pensa solo al peggio. Rori, che ha 74 anni, ha già passato un tumore e di questo parla come «una sopravvissuta al Titanic, inoltre tutti i riferimenti della mia vita sono già colati a picco. Peso 39 chili, non è che ho grosse speranze se arriva il coronavirus». Prima di tutto questo, usciva «per unire l’utile all’utile. Muovermi, che per il mio fisico è essenziale, e incontrare qualcuno per il caffè». Ora scende per la spesa, con una sola mascherina «che riciclo da giorni e giorni perché ho solo quella», e si domanda «ma non possono fare i turni per le persone fragili? Dateci una corsia preferenziale…».

Il Comune di Milano ha organizzato il servizio Milano Aiuta, basta telefonare allo 020202, ottocento persone hanno già chiesto una mano per la spesa, per andare in farmacia o farsi accompagnare dal medico. Poi c’è l’Ats metropolitana, che fornisce ascolto e supporto psicologico al numero 02 85782797, e gli operatori telefonano agli anziani già registrati nei vari centri di incontro ormai chiusi, per sapere come va, se hanno bisogno. E si cerca di costruire una rete per agganciare chi non sa queste cose, o pensa di farcela, a volte funziona prima quella di quartiere, o caseggiato, o parrocchia.

L’altra mattina in via Farini si aggirava un anziano — solo — con la borsa della spesa — vuota — dicendo a quelli che incontrava “è tutto chiuso, è tutto chiuso”, sbarrati i negozi di sempre, inarrivabile la coda del supermercato, sbarrati anche i suoi occhi, poi è sparito in un portone.

Tina Trombini, 96 anni, reclusa in casa con la badante Maria Zanni, arrivata da poco, quella di prima è sparita alle 11 di sera: «E meno male che c’è lei, sennò come facevo. Io non me la sento di uscire, farei troppa fatica a scendere e salire le scale». Maria: «Neanche io esco, non vorrei mai portare in casa il contagio. Viene mia figlia con la spesa, adesso sta cercando le mascherine per noi due, ma non le trova». Tina: «Com’è fuori? Com’è Milano? Io non lo so più, guardiamo la televisione e ci spaventiamo». Maria: «La televisione informa ma è anche un rischio grande per chi è vecchio. Mette tanta ansia».
Ci sono quindi badanti virtuose, oltre a quelle che scappano o se ne approfittano. Radice si dice fortunato, per quanto si possa essere fortunati avendo una madre malata di Alzheimer. «Esco io, una volta a settimana, per la spesa e la farmacia. La badante non esce più, in questo si è dimostrata molto responsabile. I riposi li fa nella sua camera, poi torna con noi nelle parti comuni».

Ma c’è il problema dei servizi della Ast, come il fisioterapista che «veniva tre volte la settimana, poi il servizio è stato sospeso, dovrebbe riprendere domani lunedì». Ma per dire le difficoltà, questo arrivava senza mascherina, «quindi gliela davo io, che ne ho alcune da parte». Poi c’è l’infermiere che passa a controllare pressione e saturazione, servizio non sospeso, si immagina la fatica che fanno queste strutture di assistenza domiciliare a stare in piedi. «Io faccio di tutto perché mia madre non muoia. Più di così non posso fare niente, ma ho fatto tanto in questi anni per lei, che mi spiacerebbe vederla andar via per colpa di un virus», e Radice saluta dal balcone del sesto piano assieme alla mamma e alla badante che fa ciao, una vita da autoreclusi, ma se serve, e serve.

 
 
 

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